Netflix o Nextflop?
La piattaforma di Nexflix è indubbiamente fenomenale. Cresciuta fino a circa 210 milioni di sottoscrittori Netflix è passata dal vendere DVD per posta ad essere regina mondiale dei contenuti in streaming. Certo, per arrivare a questi risultati ci sono voluti un manager con grande visione, creatori di contenuti geniali e molto cash. La società, che negli ultimi dieci anni è cresciuta a ritmi vertiginosi, ha registrato un free cash flow negativo di circa 9 miliardi di dollari, tanta roba. Ci si aspetta, tuttavia, che li recuperi velocemente nei prossimi cinque anni, forse. Il mercato sicuramente pensa che ne sia valsa la pena, visto che oggi Netflix presenta un valore d’azienda di circa 285 miliardi di dollari. Ovvero 1360 dollari a sottoscrittore. Circa 10x il fatturato.
La società quest’anno dovrebbe registrare un utile netto di 4.7 miliardi, quindi un rapporto P/E di 60x. Apparentemente alto se non fosse per la stratosferica leva operativa del business. Ipotizzando infatti che la società in un prossimo futuro riesca a raddoppiare i sottoscrittori, portandoli a 420 mln, e mantenesse l’ARPU (average revenue per user) invariato a 12 usd, la società varrebbe circa 10x gli utili. Un vero regalo se la crescita continuasse ulteriormente. Il punto è che la leva operativa funziona anche al contrario. Se la società iniziasse a perdere sottoscrittori, infatti, velocemente andrebbe in perdita (basta perdere il 10% della base per andare in perdita). Questo vorrebbe dire: a) ricapitalizzarsi per spendere ancora di più sui contenuti, riducendo però i margini; o b) tagliare i costi per i contenuti, e questo porterebbe a sua volta ad ulteriore perdita di sottoscrittori e così via. È quindi essenziale capire il contesto competitivo ed i margini di crescita. Sul lato positivo abbiamo che: 1) la formula dello streaming è vincente e adottata da sempre più consumatori; 2) nei Paesi emergenti è ancora sottopenetrato; 3) lo spazio per ridurre il tempo alla TV e aumentare lo streaming è ancora sostanziale (35% del tempo streaming e 65% TV negli USA). Sul lato negativo, tuttavia, gli elementi non mancano: 1) le società che offrono contenuti in streaming sono aumentate in maniera esponenziale e oggi i sottoscrittori globali sono quasi un miliardo, con limitati spazi per crescere a meno che i consumatori non vogliano adottare e mantenere diversi provider; 2) Netflix si posiziona sulla parte alta della fascia di costo e al suo prezzo si possono oggi sottoscrivere insieme, per esempio, Disney+, AppleTV e PrimeTV; 3) i Paesi emergenti che rappresentano ancora aree penetrabili hanno spesso bisogno di contenuti ad hoc che limitano le economie di scala, oltre che di migliori connessioni internet; 4) i broadcaster nazionali e regionali stanno predisponendo servizi concorrenziali di streaming più adatti alle culture locali; 5) l’esplosione dello streaming ha dato vita ad un’inflazione del prezzo dei contenuti che tende a mettere pressione su utili e cash-flow; 6) il vantaggio di Netflix si basa su un limitato numero di programmi di successo che potrebbero ad un certo punto perdere di appeal e non essere adeguatamente rimpiazzati; 7) se è positivo offrire servizi sempre più belli, è però molto negativo diminuire la qualità dei servizi (contenuti) e quindi i costi tenderanno sempre a crescere e dovranno essere compensati da nuovi sottoscrittori per evitare la stagnazione (la bici che perde velocità alla fine cade..).
Non abbiamo particolari view sul proseguo della lotta competitiva per il dominio dello streaming, visto il numero, la dimensione e la profondità di tasca dei player in gioco. Eppure immaginiamo che chi compra qui Netflix dovrebbe sperare di vedere il titolo raddoppiare visti i rischi impliciti, e perché questo avvenga (speculazione a parte) dovremmo vedere i sottoscrittori triplicare e i prezzi di sottoscrizione rimanere invariati o crescere (mantenendo come obiettivo finale società ex-growth a 12x gli utili). Questo vuol dire 630 mln di sottoscrittori nei paesi occidentali o il doppio (1.2 bln sottoscrittori) con un mix 30/70% tra paesi occidentali e paesi emergenti. Questo compenserebbe il caso negativo che Netflix diventasse ex-growth a 300 mln di sottoscrittori con un ARPU di 10 usd a persona. In tal caso, per arrivare ad una valutazione ex-growth di 12x gli utili, la società dovrebbe perdere oltre il 50%. Tuttavia qui il mercato probabilmente esagererebbe, spingendo il titolo ancora più in basso e la società, come detto, nella foga di recuperare, spenderebbe probabilmente troppo e in maniera affannosa per nuovi contenuti, riducendo molto utili e cash flow.
Essendo una società growth non fa parte del nostro menù. Quanto sopra è solo per illustrare come una società solida e con un prodotto vincente, possa rappresentare un investimento con un profilo di rischio (volatilità) ben diverso dal percepito o percepibile.
Il canto del cigno nero
Si dice che il cigno all’avvicinarsi della morte emetta canti di particolare bellezza. La cosa trova la sua origine nella letteratura greca, da Eschilo a Esopo, ed è poi stata ripresa successivamente da grandi scrittori. In realtà quando il povero cigno sta per morire emette, come tutti, suoni tutt’altro che musicali.
Abbiamo letto editoriali che affermano che l’attuale squilibrio tra domanda e offerta di petrolio porterà ad un ritorno di investimenti sul settore petrolifero. Non siamo d’accordo. L’offerta verrà presto aumentata, ma la cicatrice rimarrà e non potrà che ulteriormente accelerare la transizione energetica, rendendo più interessante nell’immediato investire in energie rinnovabili; in particolare oggi dove disponiamo di alcune società che trattano a valutazioni più sensate di un anno fa. Oggi oltre il 70% del petrolio è utilizzato per i trasporti e il resto in gran parte per la chimica. Tra cinque anni non si venderanno più auto a combustione interna e tra dieci quasi tutte quelle in circolazione, nei paesi occidentali, saranno sparite. Politiche di restrizione dell’offerta non sono attuabili perché Russia e Medio-Oriente non hanno saputo riconvertire le loro economie e hanno un disperato bisogno di vendere petrolio. Il petrolio tornerà a trattare a valori molto più bassi di quelli attuali. Sotto i 35 usd a barile il petrolio russo non è profittevole. Fortunatamente sono pieni di gas che ci accompagnerà per i prossimi vent’anni. E la Russia potrebbe, sotto una guida politica illuminata, usare le sue grandi risorse naturali per produrre derrate agricole, legno e energia rinnovabile da fare fluire in forma di idrogeno nei gasdotti verso l’Europa. E prima poi questo avverrà. La Russia probabilmente passerà ancora fasi difficili legate alla discesa del prezzo del petrolio che si aggiungerà alle molte sanzioni che già ora mettono pressione sulla sua economia. Ad oggi ancora non si vede neanche la speranza di un cambiamento politico necessario ad una sua rinascita. Il Paese rimane non investibile. Tuttavia non è difficile immaginare un futuro florido per questa grande nazione. Gli ingredienti ci sono. Se è vero che l’approccio value tende ad anticipare gli eventi qui non siamo ancora in quella fase e crediamo che non lo saremo per anni. Rimane tuttavia un’area che osserviamo da lontano.
Bamboline (indo)russe
Prendi una banca indonesiana. Prendine una conosciuta. Dai, esagera. Prendi la più patrimonialmente solida e capitalizzata. È BCA, Bank Central Asia. Attivi per circa 80 bln usd. Capitalizzazione 66 bln USD. Il doppio di Unicredit. Vanta un CAR, acronimo di capital adequacy ratio, una metrica che definisce la solidità di bilancio, non lontano dal nostro Capital Tier 1, del 26%. ROE del 16%. Le valutazioni riflettono questo status da campione. Il titolo tratta a quasi 4x il patrimonio netto tangibile e 27x gli utili del prossimo anno. Roba che in Europa non si vedeva neanche nel 2006.
Rimaniamo in Indonesia. Ora fa caldo, si sta bene. Prendiamo un’altra banca. Bank Pan Indonesia. Attivi per circa 16 bln USD, il 20% di BCA. Capitalizzazione 1,3 bln USD, il 2% di BCA. Vanta un CAR del 27%, più alto di BCA, ma un ROE di “solo” l’8%. Il titolo tratta a 0,4X il tangible book value e 6x gli utili del prossimo anno. Come mai? Banca marcia? Tutt’altro. La società è estremamente solida e ha una politica degli impieghi assolutamente rigorosa. Il costo della raccolta delle banche minori in Indonesia è più alto delle grandi banche, retaggio della crisi finanziaria del ‘97 che vide le piccole banche spazzate via. Le cose sono cambiate, ma il mercato ed il retail rimangono legati a logiche passate, destinate tuttavia prima o poi a riconciliarsi con una realtà diversa. La banca ha due grossi soci. Uno è la famiglia Gunawan, una delle famiglie più potenti in Indonesia, e l’altro è ANZ, la seconda banca australiana. Tra i due controllano l’86% della banca. Diremmo quindi che la banca è parecchio solida, supportata e sottovalutata.
Prendiamo ora Panin Financial, la società attraverso cui la famiglia Gunawan controlla indirettamente Bank Panin. Non è solo una holding ed infatti gestisce anche una importante società assicurativa, la Panin Life che produce circa 30 mln usd di utili netti all’anno. In un paese che cresce potremmo dargli una valutazione prudenziale di 300 mln di usd (10x gli utili) prima del suo valore della partecipazione della (super sottovalutata) Bank Panin (637 mln usd). Dando a quest’ultima partecipazione uno sconto holding generoso del 30% avremmo comunque 446 mln usd. Uniti al valore dell’assicurazione arriveremmo ad una valutazione super prudenziale di 746 mln usd. Tuttavia la società tratta a 419 mln usd (0,23x il patrimonio netto tangibile…).
Prendiamo ora la Panininvest, la società attraverso cui la famiglia Gunawan controlla direttamente la Panin Financial. Questa ha attività nel turismo che, in un contesto normale, generano circa 10 mln usd all’anno. Dando un valore in un frangente attuale a queste attività di 5x gli utili esce fuori 50 mln. Se aggiungiamo il valore del 67% di Panin Financial arriviamo a 335 mln usd. La società vale in borsa 200 mln usd (0,15x il patrimonio netto tangibile). Non bisogna prendere anfetamine o ipotizzare grande crescita futura per eventualmente vederla a valutazioni 4 volte maggiori. Ci vuole solo pazienza e buon senso.
Direi che non serve aggiungere altro. Questo è solo un esempio del valore che si può trovare nelle small caps indonesiane, società che, a differenza della sclerotica Europa, cresceranno molto nei prossimi anni, ma che restano dimenticate. Per ora …
Logbook
Settimana con risultati delle banche americane solidi, spinti dall’investment banking e dagli impieghi al consumo che crescono bene, riflesso di un mood positivo. Il mercato ha reagito bene e sembra pronto per una serie di rotture tecniche che indurranno probabilmente i piu’ scettici a rientrare sull’equity. La settimana prossima inizia sostanzialmente la reporting season. Tra le primarie societa’ che riportano e che abbiamo nei nostri portafogli, Stora Enso (foreste e derivati del legno), Yara (agro-chimica), Biogen (Alzheimer), Orange Belgium (telefonia), Barclays (banking), KB Financial (banking), Posco (acciaio e materiale per catodi), Siam Commercial Bank (banking), AT&T (telefonia), Intel (microchip), Hyundai Engineering&Constructions (costruzioni), Hana (banking). Inizia ad essere interessante…
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