L’anno delle zagare
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La zagara, con il suo profumo e la sua inconfondibile delicatezza, è uno dei simboli della Sicilia. Il nome deriva dai termini arabi zahara, cioè “splendere, sfavillare di bianco”, e zahr, cioè “fiore”. In particolare, per zagara si intende il fiore dell’arancio e del limone, oltre che del bergamotto. Nel linguaggio dei fiori, il significato della zagara è molto profondo. Simboleggia la fedeltà nell’amore ed è, per eccellenza, il fiore dedicato alle nozze, come rappresentazione della verginità. La leggenda narra che un re spagnolo, dopo aver ricevuto in regalo da una bellissima ragazza un albero d’arancio, lo fece piantare nel giardino del suo castello.
Quando un ambasciatore di passaggio nel suo regno chiese al sovrano di regalargli un ramoscello di fiori d’arancio, il re rispose che mai avrebbe dato a qualcuno un solo ramo della pianta a cui teneva così tanto. L’ambasciatore, incassato il rifiuto del re, si rivolse allora al giardiniere per ottenere un ramo di fiori d’arancio pagandogli il servigio 50 monete d’oro, denari con cui il giardiniere poté finalmente dare la dote alla figlia in modo da farla sposare. La ragazza il giorno delle nozze adornò i suoi capelli con un ramo di fiori d’arancio in onore della pianta che le aveva dato l’opportunità di convolare a nozze e da allora le zagare sono rimaste indissolubilmente legate al fatidico giorno. Pochi mesi fa Glaxo valeva 11x gli utili ed era per la maggior parte degli analisti un sell o un neutral. La divisione consumer da spinoffare e quotare valeva secondo gli stessi dai 30 ai 35 miliardi £. Un anno dopo il titolo è salito del 30% e nel week end è emerso che Unilever ha offerto 50 miliardi £ per questa divisione, offerta giudicata insufficiente da Glaxo.
Oggi se da una parte abbiamo un esercito di nuove società che presentano valutazioni folkloristicamente esagerate, dall’altra abbiamo un altro esercito di vecchie società che trattano a valutazioni assai modeste, non solo in termini relativi, ma anche assoluti.
L’attività di M&A nel 2021 è stata per dimensioni la più importante registrata nella storia. Tuttavia, non potrà che impallidire rispetto a quello che vedremo nel 2022. Grande liquidità, necessità di sinergie per limitare l’aumento di costi e deglobalizzazione sono alcune delle ragioni. Se la necessità di acquisire capacità nel nuovo mondo digitale guidò l’M&A nel periodo 2019-2021, nel 2022 la regolamentazione e la competizione spingerà il consolidamento in molte industrie tradizionali (broadcaster, giornali, retailer, telecom, banche). Ma la digitalizzazione non è l’unico grande movimento tellurico di questi anni. Transizione energetica e mobilità elettrica stanno profondamente cambiando le dinamiche, rendendo necessari cambiamenti radicali e consolidamento. Infine, il COVID ha mutato fisicamente e culturalmente la nostra società e industrie come le airlines, il turismo, il divertimento dovranno ristrutturarsi profondamente per poter sopravvivere nel nuovo mondo. I precedenti livelli di competizione e di marginalità non sono più’ adeguati.
Secondo una survey di EY il 49% delle grandi società sono pronte all’M&A se trovano il giusto target e circa 2/3 di queste sono in cerca di target all’estero.
L’enorme mercato del fixed income (>100 trilioni USD) diventa sempre meno investibile, liberando grandi risorse da investire altrove. La bolla tecnologica si sta ormai gradualmente sgonfiando e risulta meno interessante per nuovi denari. Intanto, il mercato del private equity cresce ogni giorno. Secondo S&P Global oggi circa 3 trilioni di USD siedono inutilizzati nei fondi di VC e PE e sebbene le SPAC non generino più tutto l’entusiasmo che erano solite generare, 500 miliardi USD raccolti da queste risultano in bruciante attesa di opportunità.
Davanti a noi si apre una eccezionale stagione di consolidamenti che sbriciolerà i record precedenti e che aiuterà a chiudere il risibile gap valutativo che oggi esiste tra le società tradizionali e società “tecnologiche”, lasciando a ciascun lettore l’arduo compito di definire cosa è e cosa non è una società tecnologica.
I nostri prodotti non potranno non beneficiare di questo irresistibile trend in fronte a noi.
Francia: Cuba senza il sole?
Francois Hollande vinse le elezioni presidenziali del lontano 2012 con una serie di proposte populistiche. Una di queste si distingueva per severità dalle altre: portare l’aliquota fiscale marginale al 75% per i redditi personali sopra il milione di euro. Dopo la sua elezione la norma fu introdotta e portò alla perdita di centinaia di cittadini illustri, nonché alla riduzione di gettito fiscale. Nel 2014 la norma fu soppressa. Emmanuel Macron, allora consigliere di Hollande, si manifestò sempre contrario a quella norma e in modo colorito la definì “Cuba senza il sole”.
Molti anni fa, mentre abitavo e lavoravo a Parigi, ricordo ancora una scena emblematica in un ufficio postale. Un solo sportello era aperto e la coda iniziava ad allungarsi, mentre dietro allo sportello si intuivano esserci altri dipendenti non così indaffarati. Ad un tratto una vecchietta iniziò ad urlare, chiedendo che un altro sportello venisse aperto subito. Lo sportello fu subito aperto. La scena mi colpì positivamente. In Italia difficilmente sarebbe successo. In Francia la “cosa pubblica” era veramente sentita come pubblica.
Sotto la sua presidenza, Macron ha toccato con mano quanto non sia facile ridurre le protezioni sociali del Paese e si è dovuto adeguare. Si è parecchio adeguato. Infatti, non solo ha rinunciato a ridurre le protezioni sociali ma si è imbattuto in una serie di iniziative populiste e anti-democratiche con il solo obiettivo di rimanere all’Eliseo. Gli azionisti di minoranza di grandi società francesi come Engie e Carrefour hanno constatato quanto il rispetto della proprietà privata conti poco per Macron se questo può aiutare a guadagnare voti. E non sembrano al momento esserci in Francia istituzioni capaci di sanzionare comportamenti chiaramente contrari alla proprietà privata. Ma non durerà.
Venerdì è toccato a EDF. Il governo presieduto da Macron ha deciso di limitare al 4% l’incremento del prezzo dell’energia prodotto da EDF. Questo è stato motivato come una manovra per salvaguardare il consumatore. Tuttavia, così non è. Così si fa risparmiare il cittadino benestante insieme a quello che invece ha bisogno di un aiuto. Allo stesso tempo si penalizza il risparmiatore investito in EDF che conta sui propri risparmi per passare una vecchiaia appena accettabile, così come il grande investitore pieno di soldi. La manovra, quindi, rischia di levare a chi ha meno per dare a chi ha di più. Sicuramente la manovra aiuta un disperato Macron ad incrementare il proprio supporto elettorale ed in fondo è questo il suo unico obiettivo.
Oggi EDF tratta poco sopra il patrimonio netto tangibile, apparentemente un regalo per una utility centrale per il Paese e l’unica grande utility del nucleare al mondo. Tuttavia, quando manca la certezza sulle regole, gli investitori stanno distanti. Il governo ha detto che aiuterà la utility a superare i grandi costi che dovrà sopportare. Ma siamo nuovamente ad affermazioni senza supporti normativi e senza visibilità, in linea più con la tradizione sudamericana che europea. A questo punto l’unica speranza per il 18% delle minorities che rimangono investite è che lo Stato la statalizzi e se la gestisca in linea con gli appuntamenti elettorali. Sicuramente con questa mossa Macron ben posiziona la Francia per contendere all’Italia lo scettro di repubblica delle banane, un’eccellenza in Europa finora tutta italiana, di cui vorremmo tuttavia fare a meno. Non possiamo quindi che ringraziare Macron.
Operativamente entreremmo nella società in caso di aumento di capitale, atto che renderebbe evidente il danno e l’ingiustizia fatta e che richiederebbe probabilmente un processo di revisione delle tutele garantite agli investitori privati. Come la vecchietta all’ufficio postale aveva ben chiari i propri diritti, così i francesi non potranno sopportare a lungo i comportamenti ondivaghi e poco democratici di questo giovane Presidente.
UBS, l’esorcista
Povero Credit Suisse. Ci vuole subito un esorcista. Uno bravo. Dopo i tanti scandali che hanno perseguitato la banca in questi ultimi 2 anni è di stamane la notizia che il nuovo prestigioso presidente dell’istituto, Antonio Horta-Osorio, si è dimesso dopo non aver osservato per ben due volte le restrizioni legate al COVID. Nelle ultime settimane una serie di rumori è circolata sul mercato. Si riferivano ad una potenziale unione tra Credit Suisse e Unicredit o BNP. Senza parlare di qualche grossa banca americana. Crediamo che tali rumori abbiano senso, ma la possibilità che portino a qualcosa è minima. Perché? Perché la Svizzera è piccola e protezionista. Il venir meno del nuovo presidente che doveva delineare una nuova strategia, ed eventualmente una nuova alleanza, toglie credibilità a un’alternativa internazionale. Inoltre, se qualcosa diviene credibile UBS farà un passo avanti. Ci si domanda solo se ha senso per UBS aspettare o sarebbe meglio fare la prima mossa. Una fusione ora, con i mercati in espansione e i tassi in reverse, potrebbe limitare i costi umani dei licenziamenti e libererebbe le potenzialità del Credit Suisse ora sotto formaldeide dopo tanti scandali. Il brand Credit Suisse sopravviverebbe come la più grande banca retail in Svizzera che verrebbe debitamente spinoffata e quotata indipendentemente. La nuova super UBS supererebbe Fidelity (oltre 4 trilioni di USD), posizionandosi come il quarto asset manager al mondo, dopo Blackrock, Schwab e Vanguard, mentre il primo per wealth management e gestioni attive. Avrebbe una potente presenza in Asia e in Europa. Avrebbe margini per crescere negli USA.
Come nel famoso film del 1973, l’esorcista, il sacrificio del giovane padre gesuita Damien Karras portò alla liberazione della piccola Regan, così ci auguriamo che l’uscita di Horta-Osorio conduca il povero istituto svizzero verso il salvifico e purificatorio abbraccio di UBS, per la gioia di azionisti, clienti e autorità elvetiche.
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