Festa finita?
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Un gestore azionario tendenzialmente negativo è come una bicicletta bucata. Non ti serve a nulla, ma così eviti di cadere dalla bicicletta.
Quindi, escludendo probabilmente il Giappone dove a seguito di 20 anni di mercato negativo si sono darwinianamente evoluti in creature diverse, la maggior parte dei gestori azionari ha una visione positiva della realtà. Noi di tanto in tanto cerchiamo di levarci questi occhiali dalle lenti rosa, occhiali che guardano e cercano opportunità in un mondo che, tra alti e bassi, si evolve e cresce sempre. Ci concentriamo quindi sui rischi del mercato per poter meglio definirne il profilo rischio/beneficio di breve periodo (12-18 mesi), strumentale alla definizione della nostra asset allocation tattica.
Trovare materiale negativo non è mai difficile. C’è gente come l’analista permabear di SocGen Albert Edward che sulla negatività hanno costruito una carriera di successo. Le sue analisi piene di statistiche, calcoli e grafici rappresentano il primo soccorso per il gestore che deve motivare perché si è perso un rally del mercato o un comodo espediente per il consulente finanziario che vuole partire per le vacanze con i portafogli scarichi così da levarsi un po’ d’ansia e godersi le onde e il sole.
La stampa poi ti aiuta. I giornalisti tendono a sposare una lettura della realtà cauta ben sapendo, come Ray Dalio, Nouriel Roubini e generazioni di banchieri svizzeri, giusto per fare alcuni esempi, che verrai più ricordato per i soldi fatti risparmiare che per i soldi fatti fare. Sebbene, citando Peter Lynch, si sono persi molti più soldi sul mercato cercando di anticipare il prossimo ribasso che durante i ribassi stessi. D’altronde i gestori con un po’ di esperienza hanno anche ben chiara in mente la famosa frase del politico e oratore greco Demostene scritta nel lontano 358 BC, ripresa e resa famosa poi in inglese da Sir John Mennes nel 1641 per ridicolizzare una spedizione militare in Scozia:
For he that fights and runs away,
May live to fight another day.
(ossia “perché colui che combatte e si ritira può combattere ancora”)
che poi divenne il popolare idioma inglese “live to fight another day”
Sappiamo bene che se un ribasso dura troppo i rischi di perdere clienti e masse sono notevoli. Non tutti sanno aspettare. Quindi aspettare pazientemente che una eventuale fase difficile passi, con un portafoglio diversificato e di qualità, che sarebbe forse la migliore cosa per il cliente, non sempre può essere applicata.
L’Economist, lettura che ci imponiamo sempre per lo spessore dei suoi giornalisti e l’equilibrio e la correttezza della direzione editoriale, tira fuori venerdì una copertina inquietante (l’ottovolante riportato nella pagina precedente), almeno per coloro che corti sul mercato azionario non sono.
Ciò che sale inevitabilmente scenderà, esordisce l’articolo. Se questo vale sicuramente per le montagne russe non necessariamente vale per la Borsa. L’articolo tocca le valutazioni del mercato americano, facendo notare che secondo il CAPE (Cycle Adjusted Price Earnings), ossia il rapporto tra valutazioni dei titoli e i loro utili normalizzati per il ciclo economico, lo S&P500 trattava ad inizio gennaio ad una valutazione di 40x (vedi grafico a latere), valutazioni viste solo durante la bolla dot.com. Qui la considerazione sembra abbastanza superficiale. Il CAPE di Shiller non è più applicabile. Gli indici contengono meno e meno titoli che seguono il ciclo economico e il cui P/E deve essere quindi rettificato. Tuttavia, contengono moltissimi titoli esposti alla digitalizzazione e ad altri trend e che possiedono per gli investitori grandi potenzialità di crescita e questo viene riflesso dalle valutazioni, come è normale sia. Sta all’investitore growth valutarle analizzando il trend sottostante, la tecnologia proprietaria, il business model, la regolamentazione, la concorrenza, le barriere all’entrata, etc. La parte di mercato che non è growth non può essere considerata cara, ma anzi riflette troppo severamente i suoi problemi di crescita e dà invece poco valore all’eventualità che questa migliori. Non è quindi a nostro avviso un mercato ubriaco. È sicuramente un mercato polarizzato. In effetti vi sono delle somiglianze con il 2000. Nel 2000-2003 anche vi era una polarizzazione tra titoli growth e titoli value. Allora, tuttavia, la parte sopravvalutata, in termine di numero di settori, era più vasta o, meglio, oggi abbiamo un numero di settori e titoli sottovalutati che è sostanzialmente più numerosa di allora e la sottovalutazione è anche più marcata.
L’articolo fa poi ben presente che il sistema bancario, lo scheletro della finanza, oggi è molto più solido e meno esposto al ciclo. Questo evita che ad un ciclo negativo si affianchi una crisi finanziaria o la paura di questa. Si riconosce poi che anche la liquidità dei mercati è molto maggiore e questo dà la possibilità di eliminare gli eccessi velocemente senza creare serie di coattive. L’articolo poi continua con l’analisi di nuovi rischi, quali la leva che troviamo su hedge fund e il caso Archegos ne è un esempio. Oppure la presenza di titoli o asset class il cui sottostante risiede soltanto nella speranza che questi titoli o queste asset class salgano (da Gamestop al cripto). Su questi asset non vi sono solo investitori retail, ma anche fondi. È quindi importante stare attenti dove si investe e la concentrazione dei prodotti in portafoglio. Infine, l’articolo fa notare come sia gli investitori istituzionali che quelli retail abbiano un certo grado di timore delle valutazioni del mercato (vedi grafico sopra), elemento sempre positivo.
Nonostante la foto di copertina, ci sembra che l’articolo non solo non convinca, ma che non esprima un reale convincimento da parte di chi scrive sul fatto che siamo prossimi ad un crollo di mercato. Noi condividiamo che la fase di debolezza della parte più speculativa del mercato non è finita. Questi processi sono lunghi. Il mercato è abituato al fatto che queste asset class rimbalzano e quindi è pronto a comprarle su debolezza, ma crediamo che stavolta il rimbalzo e la ripresa del trend non ci sarà e che gradualmente queste asset class tornino a valori che meglio riflettono non solo le opportunità, ma anche i rischi futuri. Alcune certo si moltiplicheranno ancora ma la maggioranza stagnerà o andrà nel dimenticatoio. Il rischio è sempre che la debolezza di una parte del mercato indebolisca il ciclo e affligga anche la parte value che oggi è assolutamente attraente. Riteniamo che valga la pena correre il rischio, il rischio di allungare il tempo di ritorno sul proprio investimento contro il rischio di perdere il treno di un ribilanciamento valutativo nella parte value dovuto e atteso da troppo tempo. Il profilo rischio/beneficio ci pare troppo buono per non stare sul mercato.
Guerra e pace, fantasticando tra cinico realismo e paranoia
Andreotti affermava che a pensare male si fa peccato, ma ci si prende spesso. Permettiamoci di pensare male e chiediamo perdono in anticipo per le stupidate che stiamo per scrivere. Prendetele come chiacchere da bar sebbene suffragate da dati oggettivi. Usando più fonti osiamo calcolare il costo dell’attuale pressione militare russa in Ucraina in 20 mln di USD al giorno. Tuttavia, i maggiori ricavi per la Russia e le sue società petrolifere derivanti dalla crisi si aggira intorno ai 250 mln USD. Significativi sono anche i maggiori guadagni giornalieri per le società americane. E per i loro ricchi amici mediorientali. Questa impasse rappresenta una tassa occulta che migliora il bilancio di molte società e di diversi governi. Sostiene negli Usa una industria con decine di migliaia di posti di lavoro. Inoltre, rappresenta un incentivo incredibile ad accelerare la crescita nell’investimento nelle rinnovabili e la penetrazione delle auto elettriche. E, ahimè, per aumentare i budget di armamenti. Indebolisce il consumatore per arricchire i ricchi e va nella direzione opposta di quella che stiamo prendendo a seguito della pandemia. Tuttavia, fino a marzo questa situazione fa in fondo comodo a molti. Dopo il prezzo del gas scenderà a prescindere, a causa dell’aumento delle temperature. Se Putin, al posto di stupidamente invadere l’Ucraina e “Cubanizzare” la Russia per una decina di anni, riuscisse a ridurre le sanzioni che sono state imposte al paese nel 2014 avrebbe fatto bingo. Il mercato russo volerebbe. Intanto il prezzo dei carburanti fossili insieme al prezzo di molti beni il cui incremento è dovuto al lockdown scenderà, e così la paura di inflazione e di guerre. Intanto il mercato si sarà ulteriormente ripulito dai molti eccessi esistenti tra le società più speculative e si potrebbe ripartire.
In caso di invasione i governi hanno ben anticipato ai media questa possibilità. Quindi non crediamo che i giorni di debolezza del mercato sarebbero molti e questa potrebbe rappresentare una buona possibilità di acquisto. In particolare, sui titoli value, ossia con valutazioni basse, stato patrimoniale solido e buon franchise. Non dimenticandosi mai di diversificare.
Cani, polmoni e bacilli
In una scena del famoso film Wall Street il giovane broker Buddy Fox veniva ricevuto dal grande finanziere Gekko. A questi propone di investire in alcuni titoli dai fondamentali apparentemente attraenti, ma Gekko non è soddisfatto. Lui vuole titoli sicuri. Vuole beneficiare di informazioni non pubbliche. Il Gekko disegnato nel film, figura controversa ma lontano nel film dall’essere completamente negativa nel 1986, oggi sarebbe subito giudicato da subito un criminale. I titoli a lui proposti dal novizio broker sono molto cheap, trascurati dal mercato. Classici titoli value. Gekko li definisce dogs, nella versione inglese, che viene inspiegabilmente tradotto con polmoni con bacilli nella versione italiana. Niche AM ne gestisce un allevamento composto da circa 500 esemplari, di razza. Alcuni di quelli su cui abbiamo le posizioni maggiori sono scesi di recente a seguito dei risultati trimestrali. Ci pare opportuno dare un aggiornamento.
CROUTON
SUISSE
Leggiamo dal rinomato giornale inglese the Guardian “…il colosso svizzero non può stare fuori dai guai“, e ancora “game over per l’esclusiva banca svizzera?” e citando un analista di JPM, “dopo l’ultimo scandalo dell’istituto questo potrebbe cedere o chiudere la divisione di Investment Banking“. La società fu salvata dal governo svizzero nel 2008, quando dovette svalutare per 48 bln usd titoli sub-prime. Come se non bastasse fu accusata nel 2009 di aiutare i cittadini americani a non pagare e le tasse e questo gli costò circa 1 bln usd. Nel 2011 un rogue trader senza controlli fece perdere alla banca 2 bln usd. Ancora problematiche fiscali gli costarono 300 mln di euro che dovette dare al governo tedesco nel 2013, e 780 che dovette dare a quello francese nel 2014. Nel 2017 fu condannata a pagare 5 bln euro ancora da una corte francese sempre per aiutare i clienti ad evadere, cifra ridotta a 2 bln euro nel 2019. Ma come diavolo è gestita Credit Suisse?
In realtà la società a cui si riferiscono le informazioni sopra non è Credit Suisse bensì UBS, ma i titoli drammatici dei giornali che si leggevano allora su di questa sono molto simili a quelli che si leggono oggi sulla sua compaesana. Oggi UBS è la beniamina del mercato vale 1,2 il TBV, un numero appena corretto per un bel franchise, contro le 0,5 volte del Credit Suisse. Nel 2019 le due banche valevano uguale, sia come P/TBV, 0,8x, sia come prezzo per azione, 15 CHF. Oggi UBS vale quasi 20 CHF per azione e CREDIT SUISSE poco più di 8. I 5 bln di CHF di perdite varie subite in questi due anni da Credit Suisse (da Archegos a Gupta) sono costati alla banca oltre 20 bln CHF di capitalizzazione. È vero che la banca con il doveroso ridimensionamento dell’IB ha ridotto la sua capacità di generare utile ma è anche vero che ora sarà molto meno rischiosa di molti suoi peer.
Il 2022, anno orribilis per la banca, ha segnato in realtà, prima degli accantonamenti per i vari scandali, uno degli anni più redditizi di sempre, con oltre 6,5 bln CHF di utili pre-tasse. Se si guarda la presentazione si scopre che la sua divisione bancaria svizzera (CS è in svizzera l’istituto bancario più grande) ha fatto utili pre-tasse per 2,7 bln CHF, con un ritorno sul capitale di vigilanza (non distante dal ROTE) del 17%. Oggi questa parte di Credit Suisse che ha contribuito a poco meno della metà degli utili normalizzati della banca varrebbe da sola come tutta Credit Suisse o di più. Il resto, il wealth management, l’asset management e la divisione asiatica sono gratis. Se queste fossero valutate un modesto 10x l’EBIT, e l’IB 4x la banca varrebbe 20 CHF per azione. Crediamo che l’opportunità per UBS per fondersi con CS, quotando poi per ragioni di antitrust la divisione bancaria di questa, sia notevole, e che il vacuum di potere ora in CS possa aiutare. La nuova struttura annunciata qualche giorno fa da Credit Suisse, che scorpora la divisione Wealth Management svizzero dalla Universal Swiss Bank (che diventa solo Swiss Bank) per fonderlo con la divisione Wealth Management globale, va in quella direzione. Tuttavia, qui la politica gioca un ruolo importante e imperscrutabile. Questa può essere considerata una free option. L’alternativa è investire in una banca percepita come rischiosa dal mercato nel momento in cui in realtà lo è di meno, a valutazioni estremamente attraenti che limitano molto il suo downside. Se si sente di avere un po’ perso il treno del re rating delle banche CS offre a nostro avviso una buona occasione. Anche qui, come sempre nel value, bisogna essere pazienti. Qui le slide della presentazione.
La società ha riportato i dati giovedì scorso dopo aver preannunciato il 10 gennaio. Non è emerso nulla di significativamente negativo per motivare quasi il 10% che si è persa nell’arco di giovedì e venerdì. Tra i nuovi elementi la svalutazione di avviamento legato all’IB che viene ridimensionato (atto dovuto senza conseguenze economiche o patrimoniali) e componenti variabili di remunerazione dei dipendenti che peseranno nel 2022 (1 bln CHF) che rimane sì un anno di transizione ma ricordiamoci che il mercato anticipa. La società ha confermato un ROTE minimo per il 2024 del 10% che vorrebbe dire meno di 4x gli utili e 0,35x il TBV a quella data. Multipli giapponesi per uno dei più prestigiosi wealth manager mondiali in un ambiente di tassi in normalizzazione.
Panasonic sashimi
Panasonic riporta dati deboli per il terzo trimestre legati alla divisione Lifestyle, divisione cash-cow e con limitate prospettive di crescita. La divisione produce articoli di consumer electronic e gode di un buon mark-up grazie al brand altamente riconosciuto in Giappone. La debolezza proviene in particolare sulla pressione sui margini legati all’aumento di prezzo dei materiali. La società ha tuttavia confermato gli obiettivi di fine anno. La divisione batterie elettriche gira bene e crescerà ancora molto. La nuova batteria 4680 di Panasonic regalerà alla Tesla S oltre 100 km di autonomia in più e la capacità per produrre 10 Giga di questa batteria all’anno è già in costruzione. La società è anche uno dei più grandi player nell’infotainment degli aerei, settore che col Covid si è congelato e che si sta ora riprendendo.
Incontreremo nei prossimi giorni Panasonic e chiederemo che la divisione per le batterie elettriche non venga solo resa indipendente (operazione completata) e quotata (operazione che noi riteniamo molto probabile), ma venga prima spinoffata e distribuita agi azionisti. Questo per far emergere il valore. La divisione di LG Chemical che produce batterie per auto elettriche, LG Energy Solution, è stata recentemente quotata e tutto il valore è andato sulla nuova società la cui valutazione si è allineata a quella estrema della cinese CATL, mentre la holding, che detiene l’82% della società vale circa 1/3 di quest’ultima pur possedendo anche una divisione tradizionale chimica. Se valutiamo quest’ultima divisione un modesto 11x gli utili normalizzati, l’82% di LG Energy Solution in mano a LG Chemical viene valutato solo 6 bln usd , ossia 3x l’EBIT 2023 e con uno sconto di oltre il 90% rispetto al valore di mercato di questa partecipazione. Chiaramente stiamo comprando LG Chem, in particolare la risparmio che tratta ad un ulteriore sconto del 50% sulla ord (!!!), perché’ crediamo che questa anomalia non possa durare ed il profilo rischio/beneficio appare parecchio attraente. Tuttavia, perché la cosa non si ripeta con Panasonic, uno spin off ed un’attribuzione delle azioni agli azionisti crediamo possa essere la scelta migliore (cosa che fece Exor con la Ferrari, per fare un esempio). Panasonic ricordiamoci vale poco più di 4x EV/Ebitda e 10x gli utili e, nonostante la significativa acquisizione per 7 bln usd della società americana Blue Yonder, a fine anno sarà di nuovo senza debito (rettificato per le partecipazioni finanziarie liquidabili). Qui le slide della presentazione.
CascATOS
Atos non delude mai. Ogni volta che la società parla il titolo perde dal 4 al 15%, ormai da 3 anni. La società giace oltre il 70% sotto i massimi toccati nel settembre 2017. Da quella data, per quel che importa, rivali di successo come Accenture o CapGemini hanno incamerato incrementi rispettivamente di circa il 110% e l’85%. Parte di questo gap è motivabile. Non possiamo enfatizzare abbastanza quanto il management sia fondamentale. Le persone possono esaltare o distruggere una società. Chi legge sicuramente ha avuto esperienze concrete a riguardo. Tuttavia, qui si è esagerato. Di parecchio. La societa’ in un anno orribile ha fatto 400 mln di EBIT e vale 3,5 bln euro con un EV di 4,3 bln euro. Nel 2019 l’EBIT era di 1,2 bln euro.
Atos dopo essere uscita con un profit warning il 10 gennaio, è ancora uscita giovedì con un altro profit warning (uscirà ancora il 28 febbraio con i dati finali). Pochi giorni prima vi erano voci non smentite che Thales fosse interessata alla divisione BDS Cybersecurity di Atos, una divisione che è valutata come tutta l’attuale valutazione di Atos (le valutazioni vanno dai 3,5 ai 4,5 bln euro) nonostante produca solo il 15% delle vendite del gruppo (1,5 bln su 11 bln di vendite). Atos giovedì ha quantificato gli impairment (svalutazione dell’avviamento) relativo ad una serie di acquisizioni (evidentemente sbagliate) fatte in passato. La società ha poi annunciato 500 mln di accantonamenti per voci varie e non ben definite, come perdite su contratti in essere e perdite su crediti. Sul lato Stato Patrimoniale gli aggiustamenti erano già stati fatti a gennaio, con incassi posticipati e pagamenti anticipati che hanno fatto crescere il debito che tuttavia rimane basso. Atos e Rodolf Berner ci offrono un caso di scuola per comprendere bene il significato di kitchen sinking che in breve non è altro che una “over-ripulitura” della società che il nuovo management fa quando la prende in carico per migliorare la comparazione dei risultati futuri con quelli passati (e quindi far vedere quanto si è ganzi). D’altronde non sui risultati stock, ma sulla percezione di miglioramento una società è valutata, stimata e il CEO remunerato. Così come per la felicità umana, per la Borsa dove sei conta poco, conta dove vai… L’impressione è che Rodolf abbia gettato solide basi per una serie di buone sorprese nel 2022, per gli azionisti e per sé stesso.
Don Giovanni, Kierhegaard e Casanova
Il seduttore è figura letteraria intrigante a cui nella letteratura è stato grande spazio. Abbiamo il Don Giovanni reso famoso da Moliere e Mozart, uomo passionale e spietato che mira a possedere la preda per poi abbandonarla. Abbiamo il Giovanni dell’opera di Soren Kierhegaard, soggetto a cui si ispira il personaggio del visconte Sebastien de Valmont del bellissimo film Relazioni pericolose, interpretato magistralmente da John Malkovich. Questo, pur condividendo con Don Giovanni la spietatezza, non la passione bensì la psicologia usa per conquistare completamente una donna e poi, di nuovo, abbandonarla. Infine, abbiamo Giacomo Girolamo Casanova, libertino veneziano vissuto nel diciottesimo secolo che ci ha lasciato un libro di memorie (Histoire de ma vie) considerato una delle fonti più autorevoli per ricostruire usi e costumi della Venezia dell’epoca. Casanova si innamorava. Veramente. Diveniva pazzo e si struggeva per l’amata da conquistare. Conquistata invariabilmente si stancava presto e si innamorava di un’altra malcapitata. Al Casanova è sicuramente comparabile l’investitore medio, professionale e no. Incontra un trend di crescita, lo conosce gradualmente meglio e poi ne diventa pazzo. Ne parla, lo esalta e lo proietta al cielo. Poi, immancabilmente, appena il trend mostra segni di vulnerabilità come è normale sia, lo abbandona. Non ne parla più. Lo dimentica. Nega a sé stesso di averlo seguito, bramato, amato.
I trend di crescita, come sappiamo, non sono costanti, ma soggetti ad accelerazioni e rallentamenti. Ricordiamo ancora l’entusiasmo per i veicoli elettrici del 2011 e del 2017 che finirono nella polvere per poi rinascere prepotenti. O internet. Tantissimi gli esempi che si possono fare. Bene, quando un trend potente e oggettivamente inarrestabile finisce nella polvere, quando è abbandonato da Giacomo Girolamo Casanova, crediamo sia il momento per allungarsi su di esso. Gradualmente ma senza esitazioni. Due trend, e ne abbiamo già parlato, sono stati oggetto di recente abbandono. Quello sulle rinnovabili e quello sulla transizione verso le proteine vegetali. Titoli come Nel o Beyond Meat siedono al 70% dai massimi. Tuttavia, bisogna stare attenti. Perdere il 70, l’80 o il 90% non è necessariamente sinonimo per buone valutazioni e/o un certo grado di protezione del capitale. Quando la marea si ritira il pesce può rimanere senza respirare per molto, troppo tempo. Non importa se la marea tornerà a salire. Sarà in molti casi troppo tardi. E così quando il mercato si ritira da un settore bisogna stare attenti a scegliere il soggetto che può sopravvivere senza acqua o, in questo caso, senza ulteriori soldi. Ma non solo. Anche le cui valutazioni siano supportate da elementi concreti, ossia cash-flow e attività reali. Questo aumenta a dismisura la possibilità di rivedere i nostri soldi, comunque vadano le cose. Ribadiamo quindi la possibilità di esporsi a questi trend con società come Siemens Energy, che possiede il 67% del più grande player nell’energia eolica off-shore ma è solida ed esposta anche ad altri settori in forte ripresa, e Maple Food, che oltre ad essere il più grosso operatore quotato in Nordamerica nel settore delle proteine vegetali è anche il più grande produttore di carne sostenibile sul mercato, attraverso processi di allevamento e macellazione che rispettano l’animale. Per chi ha bisogno di adrenalina quotidiana magari questi titoli non sono la scelta migliore, ma per chi vuole investire nel medio periodo su settori con grandi opportunità future, beneficiando di una fase di forte riflusso e senza voler essere speculativi, questi possono essere due buoni titoli per arricchire ulteriormente un portafoglio diversificato.
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