Un mondo diverso
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Prima di tutto, fuori di retorica, ci sentiamo vicini alla popolazione ucraina, persone che vedono le prospettive per loro e i loro cari drammaticamente cambiare nel giro di ore. Senza un’apparente ragione. Sono cose che vediamo nei film o leggiamo nei libri. Che appartengono a periodi storici lontani o terre remote.
La nostra storia, la storia dell’uomo lungo i secoli e i millenni, non è altro che l’avvicendarsi di una serie di grandi cambiamenti. Buona parte di questi cambiamenti sono rappresentati da conflitti. Godiamo tuttavia del privilegio, troppo spesso non riconosciuto, di vivere in un’epoca e in un’area geografica dove le ultime tre generazioni non hanno mai incontrato la guerra. Questo sembra ora finire. Vederla sfiorare le nostre porte, in città e territori a noi vicini, fa effetto e fa riflettere. Ed è per questo che crediamo che il 24 febbraio 2022 rimarrà come una data storica, non distante dal crollo del muro di Berlino, la rivoluzione Russa, la rivoluzione francese, Pearl Harbour, o lo smantellamento dell’Unione Sovietica da parte di Mikhail Sergeyevich Gorbachev, momenti dove gli equilibri politici del mondo vengono strutturalmente a cambiare. Questo porta rischi, ma anche opportunità.
In un settore come quello finanziario che fa della dietrologia un mantra, noi non abbiamo alcun problema ad ammettere che attribuivamo poche probabilità a quanto successo, ossia una completa invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Questo sebbene l’avessimo chiaramente considerato uno dei possibili scenari. La nostra idea partiva dal fatto, come già scritto nelle scorse settimane, che un’invasione avrebbe comportato delle conseguenze che neanche la Russia di Vladimir Putin avrebbe potuto sopportare: la “cubanizzazione” del Paese. Abbiamo sbagliato. Anche in passato abbiamo sbagliato su Putin e questo ci ha portato nel tempo a decidere di non investire più direttamente in Russia fino a che la leadership non venga cambiata. Non manca molto.
Putin va al governo nel 1999, eletto a seguito di una ventata di nazionalismo durante una fase economica finanziaria molto difficile per la Russia, fase che i lettori con qualche capello grigio come noi ricordano bene. Troppe volte abbiamo visto come recessioni prolungate e/o profonde e/o l’aumento estremo delle diseguaglianze vadano a braccetto con l’estremismo politico. Approfondire la storia permetterebbe alla politica di comprendere meglio come assistere Paesi in forte difficoltà rappresenti non soltanto, umanamente, un imperativo categorico, ma anche, egoisticamente, un imperativo ipotetico, ossia un’assicurazione per il futuro benessere della propria nazione.
Il giovane Putin inizia ad applicare le metodologie KGB nella politica tradizionale, organizzando una serie di attentati interni per giustificare una seconda guerra contro i separatisti ceceni che avevano umiliato la Russia di Eltsin. Questa volta senza alcun rispetto per i diritti umani. Il mondo minacciò sanzioni per il massacro di Grozny, ma nulla si fece. Nel 2004 espropria il colosso petrolifero Yukos, imprigionando pretestuosamente il potente oligarca Kordhokovsky che aveva osato sfidarlo politicamente. Yukos era una società pubblica quotata a NY, ma questo non impedì a Putin di andare avanti per la sua strada. Politici e istituzioni finanziarie protestarono e minacciarono, ma poi volsero la testa dall’altra parte, reputando il business potenziale più interessante del ristabilire l’ordine di diritto e punire l’autocrate incurante di leggi e mercato. Ricordiamo bene quell’episodio che ci vide fare un piccolo investimento scommettendo su un occidente capace di ristabilire la forza del diritto. Alla fine, capimmo e rivendemmo Yukos in perdita. Putin aveva quindi ragione.
Secondo l’acclamato libro di Catherine Belton Putin’s people (Penguin, 2020), l’affare Kordhokovsky aprì a Putin e ai suoi KGB accoliti la possibilità di prendere il controllo dell’economia del Paese e del suo sistema giudiziario. Entro il 2012 il 50% del PIL russo era controllato da uomini di Putin.
Poi arrivò la Georgia. Poi le tensioni con Moldavia e le repubbliche baltiche. Quindi la Crimea. Ogni volta si è ricominciato a fare business con la Russia di Putin. Anzi, in Europa a investire e a intensificare legami e dipendenze. La logica economica era rappresentata dall’avidità di breve, verso cui, ahimè, sono concentrati i mercati finanziari. La logica politica e strategica, almeno non quella a sua volta condizionata dalle lobby economiche, era di mantenere il grande Paese vicino per evitare che una grande potenza nucleare si isolasse, un po’ come si fa spesso con i ragazzi difficili per non creare fratture profonde, irreparabili e pericolose. Legando economicamente a doppio filo il Paese lo si sarebbe accompagnato fino alla demise di Vladimir Putin. Logica a cui alcuni credevano sinceramente e altri strumentalizzarono pretestuosamente, sempre per le solite ragioni economiche di breve o, peggio, oggetto della eccezionale macchina di corruzione dell’amministrazione Putin, estremamente radicata nella politica occidentale. Il risultato è stato che il ragazzo è così cresciuto più prepotente e sicuro. E oggi ha oltrepassato la linea.
Questa volta l’Europa non volterà di nuovo la testa. Non è solo un auspicio, crediamo sia molto probabile avverrà e vediamo ora dopo ora che sta avvenendo.
Patrick Cockburn, un ex giornalista dell’FT grande esperto di Russia e Medio-Oriente che seguiamo e che ora che lavora per l’Independent, esce con un interessante articolo nel week end (Putin has gambled everything on Ukraine, and now his political survival in Russia is in doubt (inews.co.uk)) che cerca di capire perché’ Putin si è spinto a tanto. La spiegazione del giornalista si condensa in una bella parola inglese, “hubris”. La traduzione è “eccesso di arroganza”, malattia comune ai despoti al potere per molti anni, super sicuri di sé e circondati da yes men che non osano contrastare ogni sua idea. Non lontano da quello che sta succedendo al turco Tayyip Erdogan o che successe a Muammar Gaddafi o Saddam Hussein. La cosa positiva è che questo di solito porta ad un errore che segna anche la sua fine. Il giornalista riporta anche un aneddoto simpatico. All’inizio del 1900 in Russia vi era nervosismo tra le masse. Lo zar Nicola II decise che vi era bisogno “di una guerra breve e vittoriosa”. Si imbarco’ nel 1904 in una guerra col Giappone che fu sì breve, ma non vittoriosa, peggiorando la situazione. Il maggiore dissenso interno che ne seguì lo condusse a prendere parte alla Prima guerra mondiale che, a sua volta, inevitabilmente, portò alla rivoluzione russa del 1917. Con Putin crediamo ci vorrà molto molto meno.
Guardando indietro, col senno di poi, capiamo ora l’accanimento in vendita su alcuni titoli russi, o sensibili alle vicende russe, nelle ultime settimane. È difficile, d’altronde, come i conoscitori dell’analisi tecnica sanno bene, capire se in questi casi c’è qualcuno più informato degli altri o se è solo panico. Putin e i suoi accoliti sapevano cosa sarebbe successo. Lo sapeva anche l’intelligence americana che lo ripeteva attraverso Biden e a cui pochi credevano. La negoziazione era finta, basata su richieste inaccettabili per qualsiasi stato indipendente o per qualsiasi alleanza che abbia un senso. L’obiettivo? Crediamo che sia unire Crimea con la nuova auto/proclamata repubblica del Donbass, dando a questa un accesso al mare e dando alla Crimea un accesso alla Russia. Praticamente Putin vorrebbe prendere il 30/40% del paese ed essere capace di influenzare il resto. Finire quindi il lavoro iniziato nel 2014. Non distante da quanto fatto in Georgia o Moldavia. Questo risponde alle istanze nostalgiche/malate di un revisionismo storico comune in molti politici sovietici, ma soprattutto alla necessità di distrarre la popolazione russa in fermento per una graduale riduzione dei diritti civili nel Paese. Il 24/02 è stato, stranamente, anche il giorno dell’udienza di Navalny, il politico russo imprigionato ingiustamente da Putin.
Nel lungo siamo tutti morti, recita un vecchio adagio molto utilizzato sul mercato. Tuttavia, proviamo a capire cosa succederà nel lungo periodo, esercizio rilassante perché nessuno ti chiederà mai conto delle bischerate dette. Nel lungo finalmente l’outlook è rosa. Buffo come quando le cose appaiono drammatiche in realtà è proprio quando il meccanismo del cambiamento si mette in movimento. Di nuovo, andando a spulciare i libri di storia, vediamo che i dittatori cadono quando fanno stare male la loro gente. Come in Cina, le masse rinunciano sì alla propria libertà ma solo in cambio del benessere economico; e se oggi mantenere tale benessere rappresenta una significativa preoccupazione per Xi Jinping, rappresenta per Putin un’utopia. Quando il benessere viene a mancare, benessere definito come lo status a cui eri abituato, puoi mischiare le carte e allungare i tempi con una guerra, ma poi il tuo tempo finisce. Difficile dire quando questo avverrà, ma Putin ha, giovedì scorso, gettato le premesse per la sua demise e la demise del sistema autocratico del Paese. Crediamo non potrà tornare indietro.
La Russia ritornerà in un futuro non lontano ad essere investibile.
Più importante è cercare di analizzare cosa può succedere nel breve, e anche più difficile e pericoloso. Ma ci proviamo. Iniziamo a dire che le ripercussioni derivano dal fatto stesso che l’invasione abbia avuto luogo e che l’andamento del conflitto in sé, per quanto importante, non ha ormai effetto sulle sue ripercussioni geopolitiche, ma solo sulla volatilità dei mercati. Ogni minaccia o timore di un conflitto diretto con la Nato, ipotesi che rimane assai remota, non può che aumentare la volatilità di breve del mercato. Quindi aspettiamoci un mercato molto sensibile su questo fronte. Più duro il conflitto, più sarà dura per Putin da giustificare domesticamente e sarà inevitabile che le sanzioni occidentali diventino estreme, come possiamo già vedere in queste ore. Tuttavia, se Kiev dovesse cadere domani o non dovesse mai cadere la fisionomia del nuovo mondo non cambia.
Proprio di ieri sera l’annuncio che Putin, dopo aver definito un incontro con la leadership ucraina per avviare un cessate il fuoco, ha messo in allerta l’apparato nucleare russo. Questo indica uno stato di disperazione sostanziale. Se da una parte questa mossa crea ansia e deve essere trattata dall’Occidente con cautela, dall’altra inevitabilmente rende per Putin il futuro binario: o la rinuncia al potere o il ritorno del Paese alla dittatura sovietica di 40 anni. Dopo una ventennale fase di capitalismo saggiata dalla popolazione russa, riteniamo la seconda ipotesi estremamente difficile da gestire.
Il nuovo mondo
Il nuovo mondo vedrà due assi ben delineati. Russia/Cina (per noi i “cattivi”) e USA/Europa/Giappone/Corea (i “buoni”). I Paesi Emergenti rientreranno in una sfera o nell’altra a seconda dei casi e del supporto economico assicurato. Chiaramente meno hai e meno supporto puoi dare.
Ripercussioni geografiche
strong>Russia. La Russia vedrà il benessere della sua popolazione pesantemente ridimensionato. Questo dovrà essere quindi accompagnato da limitazioni crescenti alla libertà personale (movimento, informazione, libera espressione, democrazia) e quindi repressione. Questo aumenterà anche l’instabilità del Paese e la possibilità che il regime venga rovesciato. Parte dell’output e dell’input economico perso verso l’Europa verrà compensato dalla Cina che sarà felice di vendergli parte dei beni che prima venivano acquistati dagli Europei e comprare materie prime, gas e petrolio a sconto.
Cina. Guadagnerà un alleato fedele, che gli garantirà materie prime ed uno sbocco ai suoi beni e che compenserà in parte il processo di deglobalizzazione in atto verso di lei da parte di Europa e USA. Apparentemente apre la strada all’”integrazione” di Taiwan. In realtà, se le cose si mettono male per la Russia di Putin, come crediamo sia probabile, il risultato sarà opposto, ossia risulta un deterrente per la Cina. Motivo in più perché gli USA dimostrino risolutezza oggi. Il focus della Cina oggi è di elevare il benessere di 600 mln dei suoi cittadini che vivono con meno di 200 USD al mese. Non riuscirci vorrebbe dire mettere a repentaglio la legittimità del partito. Vista la sua delicata fase politico/economica la Cina crediamo eviterà di allinearsi troppo con la Russia per evitare sanzioni e cercherà di avere un atteggiamento opportunistico.
Europa. Perderà una parte non trascurabile dell’export russo che rappresenta oltre il 4% dell’export europeo, quindi un colpo significativo alla domanda aggregata. Inoltre, dovrà gradualmente ridefinire l’approvvigionamento di materie prime, petrolio e gas, reindirizzandosi su altri player, probabilmente a prezzi elevati per un certo periodo di tempo; quindi, un colpo al potere di acquisto dei consumatori. L’Europa ha inoltre Investimenti diretti in Russia per circa 400 bln USD ed una parte sarà persa.
Tuttavia,
- parte dell’export russo perso sarà recuperato da migliori rapporti in termini di intercambio con gli USA
- il prezzo dei carburanti fossili tenderà gradualmente a calare in quanto la produzione russa troverà altri mercati di sbocco, ribilanciando domanda/offerta globale
- l’alto prezzo di carburanti fossili e materie prime rientrerà in parte in Europa attraverso maggiore domanda dai paesi produttori di questi (Sudamerica, Africa, Medio Oriente, sud-est asiatico)
- in generale le società europee hanno una limitata esposizione specifica alla Russia, grazie a politiche di diversificazione del rischio messe in piedi dopo il 2014
- l’evento accelera gli investimenti del continente per rendersi più indipendente (manifattura, semiconduttori, materie prime, rinnovabili, auto elettriche, etc) e questo dovrebbe aiutare la piena occupazione e la dinamica salariale che, come negli USA, si sta già muovendo al rialzo sull’onda delle manovre fiscali e del processo di deglobalizzazione
- l’evento unisce l’Europa e dà stimolo per rafforzare l’UE dilaniata in questi anni da differenze politiche
- l’evento rafforza l’impulso verso l’unione bancaria e fiscale nell’area
USA. Beneficerà di grandi investimenti per accelerare il processo di deglobalizzazione che questo evento ha reso più importante. Beneficerà anche dell’incremento sostanziale di investimenti per armamenti in tutto il nuovo mondo. Beneficerà della domanda europea per i suoi carburanti fossili. Beneficerà di nuovo supporto politico per investimenti legati alla transizione energetica.
Paesi Emergenti. 2 su 3 Paesi Emergenti sono dipendenti dal prezzo delle soft e hard commodity, ovvero le commodity rappresentano oltre il 60% del totale delle esportazioni. La crisi che viviamo manterrà per un certo periodo di tempo alto il prezzo delle commodity, mentre riduce il timore sui tassi a cui queste aree sono molto sensibili. L’alto prezzo delle commodity ha quindi un effetto positivo sull’economia di questi Paesi molti dei quali dopo un decennio di sottoperformance presentano mercati azionari con valutazioni modeste.
Ripercussioni settoriali
Perdenti.
- Lusso (effetto ricchezza a seguito debolezza del mercato americano tech, tassi in fase di normalizzazione e perdita di parte della domanda russa)
li>Energetici (molti hanno investito enormemente in Russia e sebbene manifestino ottimi profitti ora questa fase apre la strada ad un’inversione definitiva del trend del petrolio e del gas nel giro di pochi anni/mesi e il mercato anticipa, in particolare dopo i recenti rialzi di questi titoli)
- E chiaramente ogni società con forte esposizione delle vendite e soprattutto degli utili alla Russia (una minoranza tra i titoli europei)
Vincenti.
- Rinnovabili e zero carbon (nucleare e tecnologie per filtrare CO2)
- Armamenti
- Infrastruttura energetica (rigassificatori, grid, pipelines)
- Banche (Europa più unita rappresenta uno stimolo per M&A di un settore troppo frammentato)
- Telefonici (Europa più unita è uno stimolo per M&A di un settore troppo frammentato)
- Mobilità elettrica (sussidi saranno prolungati e sviluppo infrastruttura accelerato)
- Minerari fuori dalla Russia (che sconteranno alto prezzo delle materie prime per un periodo più lungo)
Quanto sopra si aggiunge al trend della deglobalizzazione che spinge le società a riportare produzione in casa, aiutando a far crescere occupazione e salari e ridurre le grandi diseguaglianze sviluppate nel decennio.
Nel breve si balla e è difficile dire dove il mercato andrà perché è guidato dai flussi. Tuttavia, una volta che il mercato avrà, per ogni titolo, calcolato le perdite di profittabilità futura legate a un isolamento russo e avrà scartato l’ipotesi di un allargamento della guerra tornerà a concentrarsi sui fondamentali che rimangono buoni.
Per concludere la tragedia che si sta consumando in questi giorni porta anche con sé cambiamenti positivi e opportunità umane, politiche e finanziarie.
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