Estate. Dove andare?
L’estate è arrivata! Dopo una primavera capricciosa le temperature sono esplose, in UK come in Italia. Le opzioni vacanziere sembrano per ora limitate. Gli inglesi scopriranno posti come le Highlands, Lake District e la Cornovaglia e gli Italiani si focalizzeranno sul Belpaese, troppo spesso trascurato a favore di luoghi più esotici. Guardando il mercato si respira un misto di speranza, paura e incertezza e questo è sempre positivo. Il trend dei tech si è interrotto e si cerca di capire se è una pausa o un cambiamento strutturale di direzione. Intanto emergono timori ogni tipo. Inflazione, debito pubblico, sostenibilità della ripresa, valutazioni, rischi geo-politici e volatilità estiva.
Nell’ordine:
-Inflazione. L’inflazione c’è e si vede. Meno male. In buona parte è legata alle materie prime e a colli di bottiglia tipici di queste fasi. Si vedono anche pressioni salariali e di questo ci rallegriamo. Un po’ di sano protezionismo aiuterà i distretti industriali non ancora smantellati. Non vediamo tuttavia rischi di esplosione dell’inflazione. La flessibilità dell’offerta rimane forte. L’inflazione in buona parte si sfogherà sul settore del lusso e quello immobiliare, e lo stesso auspichiamo per quello mobiliare.
-Debito pubblico. Il debito pubblico mondiale è alto, ma rimane sostenibile. Grazie sia ai tassi di interesse sotto controllo (un rientro dai tassi negativi è solo dovuto), sia al coordinamento, alla credibilità e al supporto delle Banche Centrali, sia ad aspettative di crescita migliori che dovrebbero, con molta gradualità, riequilibrare il rapporto debito/PIL.
–Sostenibilità della ripresa. La ripresa è sostenibile semplicemente perché sostenuta. Sostenuta dai risparmi accumulati, sostenuta dai piani infrastrutturali, sostenuta da una volonta’ politica di abbandonodella deflazione e stagnazione in cui aree come Europa e Giappone erano finite.
-Rischi geo-politici. La tensione con Russia e Cina è alta. Ma alla Casa Bianca abbiamo un team serio, perché non si lancia in sensazionalismi e perché è comunque pronto a prendere provvedimenti efficaci per limitare atteggiamenti inadeguati di tali Paesi. E gli interessati lo sanno. Detto questo i rischi geo-politici non possono essere mai anticipati completamente. Il fatto che oggi vi siano timori su questo fronte vuol dire che qualche tensione è già scontata e ciò è positivo.
-Valutazioni. A chi vi dice che il mercato è sopravalutato chiedete il perché. E ascoltate attentamente la risposta. O si riferisce alla componente growth, oppure riporta i titoli dei giornali. In quest’ultimo caso sicuramente non analizza le società. C’è un’ulteriore opzione: una visione macro devastante legata a fenomeni estremi come guerre o fenomeni di super-inflazione. Le guerre non si possono prevedere, mai. Fenomeni di super-inflazione sono oggi da escludersi, merito di China SpA. Basta aprire i rubinetti cinesi e i prezzi (e ahimè i salari) scendono.
-Volatilità estiva.. Volumi limitati e gente distratta hanno sempre rappresentato un terreno fertile per ondate di volatilità. L’estate è famosa per questo. La prima considerazione è che la volatilità può funzionare da entrambi i lati e di solito va nella direzione in cui fa più male al mercato. Quindi il consiglio è di avere flessibilità in entrambi i casi: non spaventarsi, ma anzi inghiottonirsi, se c’è un vuoto d’aria; non farsi prendere dall’ansia di non guadagnare abbastanza, ma essere pronti a dare qualcosa se i prezzi saliranno molto. La seconda è che, in vista dell’estate, può avere senso tatticamente alleggerire qualcosina nei settori che hanno visto più entusiasmo, come auto, industriali e materiali di base che, sebbene non siano cari, potrebbero essere oggetto di volatilità vista la ciclicità dei loro utili. Raccomandabile, invece, aumentare l’esposizione su aree strutturalmente in ripresa come telefonici, banche, assicurativi, utilities, media, consulenza IT, farmaceutici, telecom equipment.
Aspra e dolce…
L’essere umano raramente gode appieno dei regali che la vita quotidianamente gli offre. Troppo indaffarato nella “prossima cosa” da desiderare, aggiustare, raggiungere. Dono e dannazione, il guardare avanti è il motore del progresso, ma ci impedisce di vivere pienamente il presente. Ogni tanto invidio i miei golden retriever che dopo aver mangiato le loro crocchette sono palesemente felici per un lungo periodo. Tuttavia, noi andiamo sulla luna e loro al massimo al parco. Per chi sia interessato ad andare sulla luna…
Uno dei piccoli piaceri della vita è mangiare l’arancia matura. Quando la mastichi subito emerge l’asprezza, seguita da un’onda
esplosiva di dolce che, insieme, regalano sensazioni molto piacevoli. Il primo operatore telefonico francese, Orange, condivide col frutto non solo il nome ma
anche alcune delle sensazioni che procura. Ci riferiamo alla prima parte, la parte acida. Quotata nel 1997 arriva a 200 euro durante la bolla TMT, poi crolla e sta nel limbo per anni. La società e’ attiva in 26 paesi e conta 260 milioni di clienti. Come primo mercato quello francese, la Spagna rappresenta il secondo e la Polonia il terzo. È poi il primo operatore africano con attività in diversi paesi francofoni (Senegal, Costa d’Avorio, Marocco, Mali, …) ed attivo in Medio-Oriente. La società quota oggi a 10x gli utili, 5x EV/EBITDA e paga un succoso dividendo del 6,8%, di cui i 2/3 (50 centesimi) in stacco il 15 giugno. Dopo di che sarà anche più cheap. Ci si domanda perché questo titolo valga così poco. Un debito ingombrante e pericoloso? No, questo gruppo ha un debito assolutamente sostenibile, così come il suo dividendo. Utili in calo? La società dovrebbe trovarsi al punto di inflessione degli utili, con la Francia, Belgio, Polonia e Africa in ripresa e la Spagna ancora lontana, per un paio d’anni, dalla stabilizzazione delle pressioni competitive. Ha deluso nell’ultima reporting season? No, ha riportato in linea o leggermente meglio. Inoltre, la società ha, come molti telefonici, un’opzionalità forte per utilizzare il suo franchise per monetizzare la rivoluzione digitale, opzionalità assolutamente trascurata ad oggi. Allora perché in un mondo dove i tassi sono così bassi e Orange sta ritrovando un percorso di crescita il mercato la tiene al 7% di dividendo e 10x gli utili? Forse ci vuole solo un po’ di pazienza. L’autunno, la stagione delle arance, non è lontano.
La “magia” della crescita composta
Baillie Gifford, società di asset management growth, vive momenti di meritato splendore. Avendo investito significativamente in una serie di società ad alta crescita raccoglie i frutti del suo lavoro. I suoi forti e concentrati investimenti in realtà come Tesla hanno fruttato ritorni eccezionali.
Come spesso umanamente accade, quando ci va tutto bene iniziamo a credere che tutto dipenda, al 100%, dal fatto che siamo eccezionalmente bravi. Così come quando va tutto male, forte è la tentazione di sentirsi inutili, colpevoli e insignificanti. Quindi oggi leggiamo più volte sui
giornali gli interventi dei gestori (in particolare Lawrence Burns) e dei professori universitari “consulenti” di Baillie Gifford (Hendrik Bessembinder) che ci
spiegano come la strategia di crescita è l’unica veramente di successo. E che vendere è per definizione sbagliato. Cito testuale, “il mancato guadagno per la vendita di un titolo è teoricamente infinito…” spiegano. Il leitmotiv è che dai dati storici disponibili sugli indici americani emerge che l’1% delle società è l’artefice di tutta performance dell’indice. Quindi ha senso cercare il prossimo titolo che si moltiplicherà per 1000 nei prossimi dieci anni al posto di affannarsi, come fanno i value investor, a cercare società su cui fare pochi soldi. D’altronde, spiegano, se una azienda raddoppia gli utili per dieci anni di fila, varrà 1000 volte in più alla fine dei 10 anni. Magia della crescita composta, spiegano con compiacimento.
Visto che i value investor, pur ammaccati dopo anni di sottoperformance, non hanno comunque l’anello al naso, è giusto fare notare alcune cose. Ipotizzando di essere dei fenomeni e su un portafoglio di 1000 titoli non trovarne uno, ma bensì due, che si moltiplicheranno per 1000 nei successivi 10 anni, ci chiediamo alcune cose.
1) Durante le fasi di freddo, in cui le gambe tremano, le certezze crollano e i professori universitari ritornano a fare il loro mestiere, siamo sicuri che quei titoli non verranno venduti?
2)Ipotizzando che non vengano venduti, ci chiediamo se in queste fasi non siano i clienti ad andarsene e i prodotti poi a chiudere, come abbiamo visto accadere alla fine di diverse bolle.
3) Se anche ciò non avvenisse, ci chiediamo come questi due titoli, immaginiamo due Amazon dell’anno 2000, possano essere lasciati lievitare liberamente quando i fondi, normalmente UCITS, hanno limiti del 10% di esposizione massima.
Ricordiamoci sempre e comunque che dieci anni negli investimenti sono un periodo molto molto lungo. Un’ultima banale riflessione sulla considerazione che l’indice americano ha fatto quello che ha fatto grazie a solo l’1% dei titoli. Considerazione che se si scava un po’, come ha fatto il bravo Andrew Dickson (Baillie Gifford’s never-sell mantra is a song for fools | Financial Times (ft.com), non risulta poi così vera … Ma prendiamola per tale. Dobbiamo ricordare che l‘indice è un algoritmo growth, che ingloba i titoli che salgono e scarta quelli che scendono. Peserà quindi sempre di più i vincenti a scapito dei perdenti. Amplificando così l’effetto positivo di questi titoli in crescita e non facendo invece un soldo nel cercare e accumulare società sottovalutate, per poi venderle quando la sottovalutazione viene meno, attività in cui il value investor è perennemente indaffarato e da cui ricava tutto il suo ritorno sugli investimenti.
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