Bello e impossibile
Con quanta facilità e leggerezza viene utilizzata dall’industria finanziaria il termine di qualità per definire alcune aziende. Con società di qualità ci si riferisce di solito, nel gergo dei mercati, ad aziende che crescono in modo costante, sebbene non a tassi da nuova tecnologia, con un franchise riconosciuto (sia questo un brand, una tecnologia o un’organizzazione) che permette di mantenere margini solidi e che, per queste ragioni, trattano a valutazioni elevate. Troviamo che questa definizione possa talvolta essere ingannevole, poiché tende a confondere il concetto di qualità generalmente inteso, ossia una realtà sana che ha buone prospettive di lungo periodo, con l’andamento tendenziale della società, andamento che le permette oggi grassi margini spesso grazie ad un buon posizionamento competitivo. Il concetto di qualità implica stabilità e affidabilità nel tempo (un letto di qualità, un servizio di qualità, una borsa di qualità, etc) cosa che sul mercato non può invece essere mai assicurata perché qui tutto può cambiare velocemente, soprattutto quando ogni cosa sembra andare per il meglio. Cortesia del capitalismo. Per esempio, Nokia è sicuramente una società di qualità in termini generali, caratterizzata da un buon management, alta spesa di R&D, ottima governance, posizionamento e prodotto. Ma il fatto di passare una fase di forte competizione e pressione sui margini non la rendono degna oggi (lo è stata diverse volte in passato) di far parte della categoria delle società di qualità. Apple invece risulta una regina in termini di qualità in quanto presenta brand e marginalità eccelsi, sebbene passi una fase regolamentare e competitiva che potrebbe, in un futuro non lontano, presentare evidenti insidie. La componente dinamica più che la fotografia statica, ciò che la società potrebbe diventare più che quello che ora è, rappresenta ciò che chi investe dovrebbe guardare, tenendo in ogni caso sempre in debito conto quanto l’attuale eventuale qualità sia già incorporata nei prezzi.
Dal punto di vista del marketing coi clienti fa tuttavia molto comodo avere questo tipo di società in posizione. Nel presentare a un cliente un portafoglio con tante società di qualità si cade sempre in piedi. Il cliente, soprattutto quello retail, si sente comprensibilmente rassicurato. Tuttavia, anche il cliente istituzionale, che deve a sua volta difendere il portafoglio davanti a comitati composti spesso anche da soggetti non tecnici, non rimane deluso. Il fatto che molte di queste società occupino posti di rilievo negli indici, le rende ancora più attraenti. La storia dei mercati, però, è affollata di società di qualità cadute in sventura. E i titoli di qualità che scendono in picchiata spariranno dai portafogli alla velocità della luce. Tali aziende, sono poi non raramente caratterizzate da un profilo rischio/rendimento scadente. Il rischio esiste e viene reso più consistente dal generale consenso positivo sul titolo. Il rendimento è spesso cappato dalle valutazioni ormai generose. In sintesi, un bel titolo ma con valutazioni, almeno per noi, difficilmente accettabili. Parafrasando una canzone di Gianna Nannini, Bello e Impossibile. Volendo ridare un po’ di speranza al lettore che investe nel value e che si sente privato di un’esposizione ad una categoria così attraente (perché il titolo figo fa sempre la sua figura…) dobbiamo aggiungere che esistono anche molte società belle e possibili. Chiaramente sono belle per noi ma, come si dice, la bellezza sta negli occhi di chi guarda. Possono non avere margini stellari, ma dispongono di un ampio margine di rivalutazione. Il brand non è al momento super fashion ma il prodotto c’è. La tecnologia può non essere, in questo momento, la più richiesta ma investono molto in ricerca&sviluppo. Sono diversificate e con un bilancio solido. Insomma, belle come belle erano, se le guardavi bene, Cenerentola e Bridget Jones. L’opzione della delusione è sempre sul tavolo. La Cenerentola che rimane tale, tuttavia, fa meno clamore (downside) di Biancaneve trovata con uno spinello…
Tra i titoli belli e possibili facciamo un breve update su Teijin, società di cui abbiamo parlato qualche mese fa e la cui performance è stata sin qui deludente. Ricordiamo che la società è uno dei leader mondiali dei materiali compositi e delle fibre. Dispone inoltre di un franchise farmacologico focalizzato principalmente su diabete e osteoporosi. È uno dei leader in Giappone nell’affitto di apparecchiature mediche domestiche, nel software per cliniche e ospedali e nelle protesi per ginocchia e anche. Infine, è un importante produttore di separatori per batterie al litio. La diversificazione della società ha permesso di mantenere invariato l’EBITDA tra il 2019 e il 2020, nonostante la forte esposizione all’industria aerospaziale pesantemente impattata dalla pandemia. Questi materiali saranno sempre più utilizzati anche nelle auto elettriche che devono limitare il peso per aumentare l’autonomia. L’industria delle protesi è destinata a crescere per via dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento del reddito pro-capite, così come la domanda farmaci per diabete e osteoporosi. Il titolo tratta a 10x gli utili e, aggiustando il debito per le sue partecipazioni quotate e per il suo circolante, a 1x il patrimonio netto tangibile e 3x l’EV/EBITDA. Assolutamente bello e possibile.
Teijin è presente nel fondo NEF SDG, nel trend SDG Invecchiamento della Popolazione (1,2%), nel fondo Pharus Asian Niches, nella Nicchia Fibre di carbone e Riciclo dell’acciaio (1%) e nel fondo Pharus EMN, nella Nicchia Separatori (3%).
Confucio
“Siediti sulla riva del fiume e vedrai passare il cadavere del tuo nemico”, cita la celebre frase di Confucio. È quello che deve aver pensato John Deniz, CIO di Paragon, un hedge fund londinese quando si è rifiutato di consegnare a Orange Telecom i titoli Orange Belgium in suo possesso. Parlando di Telenet con un amico in settimana mi sono ricordato quanto quest’ultima abbia beneficiato dal 2006 dell’entrata sul mobile in Belgio proprio ai danni di Orange Belgium. Tre anni fa Orange Belgium ricambia il favore, entrando nel fisso, regno di Telenet, e iniziando a erodergli le quote di mercato. Proprio quando si vedono i primi segnali di crescita Orange propone un opportunistico buy-out del titolo a 22 euro per azione, ossia 4,7x EV/EBITDA, proprio pochino per un’azienda in espansione e con una situazione finanziaria pulita come lo sguardo di un bebè. Chi ha un po’ di tempo e un po’ di denaro da investire troverà in questo titolo un ottimo rapporto rischio/rendimento. E’ molto, ma molto, probabile che Orange entro due/tre anni riprovi a fare una nuova offerta (oggi ha poco meno dell’80%). Questa volta non lontano dai 30 euro. La società paga un 3,5/4% di dividendo (stacca 50 centesimi oggi 15 giugno, in contemporanea con Orange). Il limitato flottante e il disinteresse degli investitori istituzionali potrà procurare al titolo fasi di debolezza. Accumularlo sotto i 20 euro può essere un buon modo per allocare una parte del portafoglio, con una discreta probabilità di realizzare un ritorno annuo del 20/30% e un downside limitato (se tutto va male è probabile che a 22 euro Orange riproporrà l’offerta prima o poi).
Value Investing – Sir John Templeton
Ripercorrendo la vita dei grandi investitori ci si accorge quanto i tempi cambino, ma le situazioni rimangono sempre le stesse. Perché il mercato è frutto della psiche umana che rimane guidata dalle consuete dinamiche. La vita di John Templeton non fa certo eccezione e offre molte utili indicazioni all’investitore di oggi. Il giovane Templeton conosce presto le insidie della speculazione, dell’avidità e dell’euforia. Suo padre fu tra i pionieri del mercato dei future sul cotone. Gia’ benestante, l’esplosione di questo mercato lo rese ricchissimo in pochi mesi, tanto che comunicò a John e a suo fratello che non avrebbero mai dovuto lavorare. Pochi mesi dopo avrebbe perso tutto. John lavorò per mantenersi all’università. Questa esperienza aiutò il giovane Templeton a stare lontano, mentre muoveva i primi passi nell’industria del risparmio gestito, dalle societa’ elettriche. Ricorda nei suoi scritti quando lo portarono insieme ad altri investitori in una stanza buia per mostrare come funzionava l’interruttore. Descrive la cieca fiducia degli investitori verso qualcosa che avrebbe cambiato il mondo. Il punto è che quelle società erano già molto care e sarebbero presto state regolate. Questo risultò chiaro solo dopo il loro crollo negli anni successivi. Templeton era poi estremamente curioso e, prima di altri propose investimenti al di fuori del giardinetto americano, con ritorni importanti. In particolare, in Giappone negli anni 50’ (che allora, come oggi, risultava incompreso) e in Corea degli anni 90’, durante la crisi asiatica. Questo esempio dovrebbe essere istruttivo per l’investitore di oggi che quando investe in un prodotto azionario globale investe per circa il 60% negli USA e solo per il 20% in Asia, pur essendo questa regione la più importante per output economico prodotto, crescita, diversità e demografia. Un’altra lezione interessante che possiamo ricavare dalla vita di John Templeton è legata alla Seconda guerra mondiale. Nel 1939 la Germania nazista invase la Polonia. Gli Stati Uniti erano reduci dalla grande depressione, un periodo di grande stress e sofferenza che dimostrò come, finanziariamente parlando, non si debba avere grande fiducia nella capacità dello Stato di supportare l’economia (il radicalismo economico di Hoover è stato spesso accostato a quello tedesco del post 2008). Tuttavia, le cose cambiano e l’esperienza recente ce lo dimostra. Questo era già chiaro a Templeton che vide negli indici dimezzati in pochi mesi una grande opportunità. Si focalizzò prima sulle società che avrebbero maggiormente beneficiato dalla guerra, in particolare le società ferroviarie. Successivamente prese in prestito una somma pari a tutto il patrimonio che aveva messo da parte e lo investì in cento società che trattavano sotto il dollaro. L’idea era che in un’economia di guerra tutto viene buttato via e il profilo rischio/beneficio diviene particolarmente attraente. Quando la marea risalì, Templeton produsse un enorme ritorno per sé e per gli investitori che ebbero il sangue freddo di seguirlo. A 46 anni, nel 1954, lanciò il suo primo fondo, “Templeton Growth Fund”, che a discapito del nome era un fondo con una strategia deep value e una grande diversificazione per società e mercati. Nonostante le buone performance, il fondo iniziò veramente a crescere come masse solo diversi anni più tardi, grazie all’arrivo di Galbraith e Hansberger che riuscirono a promuoverlo adeguatamente. La società di Templeton fu acquistata nel 1997 da Franklin, un asset manager che possiamo definire industriale (in contrapposizione all’artigianalità e alla gestione attiva di Templeton), che fu poi ridenominato Franklin Templeton in nome del grande investitore.
Sir John Templeton continuò a lavorare 12 ore al giorno (sabato incluso) fino ai 95 anni, poco prima della sua morte avvenuta nel 2008, riportando incredibili ritorni dal 2000 al 2004, durante il crollo della bolla TMT, shortando pesantemente titoli telefonici e internet a leva e indebitandosi in yen. Molto religioso, ha donato buona parte delle sue grandi ricchezze ad associazioni di beneficienza e il suo modello umano e il suo approccio professionale hanno stimolato e ispirato molti talenti nell’industria. Tra le belle frasi che ci ha lasciato citiamo quella che è probabilmente la più famosa “le quattro parole più pericolose nella storia degli investimenti sono: QUESTA VOLTA È DIFFERENTE”.