Il canto del cigno
La corsa del petrolio sembra inarrestabile. I 100 USD al barile non sono più un miraggio. Questo allevia gli stress di bilancio della Russia e dei paesi mediorientali. Rimette in moto l’industria delle shale oil americane. Crea reflazione ed è positivo per l’economia. Questa fase, se protratta, accelererà ulteriormente il passaggio alla mobilità elettrica, liberando nuova fiducia e investimenti. Oltre il 70% del petrolio è utilizzato per l’industria dei trasporti. Secondo l’ultimo Energy World Outlook dell’IEA (International Energy Agency) la domanda di petrolio nel 2030 sarà circa pari a quella del 2019 e nel 2040 sarà maggiore di circa il 5%. L’IEA è un’organizzazione sovranazionale indipendente sotto il cappello dell’OCSE. McKinsey, nota società di consulenza strategica, prevede nel 2040 una domanda di petrolio in calo del 15% nel base case scenario e del 60% nel caso in cui si volesse mantenere l’obiettivo del surriscaldamento del pianeta al 2100 entro i 1,5 gradi (clicca qui per il report). Più positivo è l’Opec che vede una crescita della domanda fino al 2045.
Cauti sono produttori come BP (clicca qui per accedere alla presentazione del suo scenario) e Royal Dutch che ipotizzano vari scenari, tra cui alcuni abbastanza negativi (-40% della domanda al 2050). Mentre positiva è l’americana Exxon prevede una domanda di petrolio aumentata del 20% dal 2019 al 2040.
Insomma, scenari molto diversi. Tuttavia se veramente si crede, così come ci crediamo noi, ad un pressoché totale passaggio all’elettrico (idrogeno compreso) del trasporto su gomma a partire dal 2030, oltre ad una forte riduzione dell’uso di derivati del petrolio, si può ipotizzare che il fabbisogno sia a tale data al 50% di quello attuale. Saranno sufficienti 2/3 anni per rendersene conto. Se così fosse, quello a cui stiamo assistendo oggi sarà l’ultimo mercato toro per il petrolio e per le aziende petrolifere. Quest’ultime, a fronte del rialzo dell’oro nero, hanno snellito negli ultimi 12 mesi la loro struttura di costi e abbattuto gli investimenti, aumentando così la leva operativa e generando moltissima cassa. Come tutti i mercati toro, la fase di rialzo può essere violenta e superare ogni aspettativa. Più sorprenderà al rialzo e più doloroso risulterà intenso e lungo il freddo successivo. Un bel viaggio da godersi, ma non troppo distanti dall’uscita di emergenza.
La giostra
Difficile non perdere la lucidità. Un giorno esce un dato e il mercato conclude che la crescita è troppo forte e si rischia l’inflazione. Poco dopo, esce un altro dato e la crescita è deludente e i governativi indicano un ritorno alla deflazione. Con la pandemia non è poi così differente. Un giorno il focus è sui paesi dove le cose peggiorano, le nuove varianti che arriveranno e lo sconforto di non poter sconfiggere il virus definitamente. Il giorno successivo ci si accorge del crollo della letalità e della situazione nei Paesi Occidentali dove le vaccinazioni stanno entrando nell’ultima fase, nonché dell’inevitabilità di un simile epilogo nei Paesi Occidentali ritardatari (Giappone) e emergenti, dove i vaccini stanno finalmente diventando disponibili. Una giostra insopportabile, in particolare per chi nel growth e sul Nasdaq non investe ritenendo le valutazioni eccessive. Tali mercati, infatti, trovano forza e vigore dai timori sulla crescita economica.
La scorsa settimana la giostra ha puntato su una crescita fragile e il mercato è stato particolarmente penalizzante per i titoli value. I guadagni di diverse settimane, non monetizzati in nome del nuovo paradigma della crescita guidata e inevitabile, sono stati sbriciolati da un mercato ruvido e sbrigativo. Qui vediamo centinaia di opportunità eccezionali. Con un profilo rischio/beneficio da anni ‘70. La reporting season è prossima e siamo fiduciosi che la old economy si comporterà bene in questo frangente, aiutando il processo di consolidamento del rialzo degli ultimi sei mesi e gettando così le basi per la prossima gamba rialzista.
Guardando al bicchiere mezzo pieno, chi fa consulenza avrà più tempo per catechizzare i clienti troppo liquidi o troppo investiti su listini grondanti titoli ad alta crescita, ovviamente sopravvalutati, per spronarli ad allungarsi sulla vecchia economy oggi disponibile a prezzi da saldo. Chi fa il gestore value avrà tempo per parlare del suo mercato, portando esempi sempre più eclatanti del grande valore oggi qui nascosto. Si tratta di esempi semplici che non richiedono immaginazione. Chi investe nel growth come asset class, a prescindere dalle valutazioni, continuerà a vivere nella sua entusiasmante bolla, tappezzata di fede cieca, che gli ha permesso finora di rimanere attaccato ai suoi gioielli, accumulando enormi plusvalenze. La stessa fede impedirà a non pochi di loro di vendere quando questa lunga fase avrà esaurito il suo combustibile. Gira, la giostra gira. Godiamoci sereni le corse più belle; usiamo profittevolmente le altre.
La volpe e l’uva
C’è chi insinua che in fondo è un po’ come la volpe e l’uva, e che invidiamo i risultati che l’approccio growth ha restituito in questi anni ai suoi investitori. Assolutamente vero! Fasi di growth e value in Borsa si sono susseguite nei decenni. Auto, energia elettrica, telefono, TV, o PCs furono motivo di grandi risultati per l’approccio growth. Come oggi internet e la digitalizzazione. Non possiamo non essere un po’ depressi che l’ultimo quinquennio abbia visto la fortissima egemonia di tale approccio che noi non adottiamo. Tuttavia fa parte del gioco. Il value è una molla. Se si riesce a resistere nelle fasi non entusiasmanti, quando la marea sale e la molla viene rilasciata le soddisfazioni possono essere notevoli. Con il plus che con un portafoglio value ben diversificato difficilmente ci si può rompere l’osso del collo, rischio che per il growth esiste sempre. Quindi parafrasando Frank Sinatra, sorridiamo pensando che “the best is yet to come..”.
Quanto all’affermazione che noi ce l’abbiamo col growth, la bolliamo come assolutamente falsa. L’essere gestori value o gestori growth dipende dal carattere. Non si sceglie. E noi siamo value. Ad uno dei più grandi investitore growth di tutti i tempi, Peter Lynch, che non solo rispettiamo, ma veneriamo, dedichiamo il nostro ultimo pezzo.
Growth (fundamental) investing – Peter Lynch
Se John Templeton raffinò la sua arte lentamente, cogliendo i frutti del suo lavoro solo dopo i 50 anni, Lynch fu un talento naturale, che ad un’inusuale maturità ha unito istinto e grande capacità analitica. Lynch assurse a grande notorietà prima dei 40 anni, e mantenne sempre un profilo basso e lasciò l’attività gestoria dopo appena 15 anni di attività.
Lynch passò tutta la sua vita professionale con una grande casa di gestioni, Fidelity. Dopo circa 5 anni come analista fondamentale gli venne dato nel ‘76 un fondo da 18 mln usd da gestire, il Magellan Fund. Quando nel 1990 smise di fare il gestore tale fondo era divenuto il più grande al mondo con oltre 20 bln usd di asset e aveva sovraperformato il suo benchmark in 11 anni su 13 con performance stellari.
Lynch portò al settore innovazione e uno spirito rinnovato. E’ l’inventore di termini rimasti nel gergo come GARP (crescita a prezzi ragionevoli) e ten bagger (un titolo con le potenzialità di moltiplicarsi per dieci). Ed erano queste le società che cercava, quasi sempre medio-piccole. Tra le tante sue indicazioni argute che hanno fatto scuola ne citiamo alcune che ci piacciono particolarmente:
1) Il mercato confonde spesso la crescita delle vendite di un settore con la crescita degli utili dei titoli. Lynch consiglia di stare lontano dai settori ad alta crescita dove gli investimenti richiesti e la competizione sono enormi. Preferisce settori più noiosi dove crescita e opportunità dei singoli titoli sono trascurate.
2) Conosci quello che compri. Secondo Lynch tutti siamo esperti di qualcosa perché lo proviamo nella vita reale. Comprò Apple perché i suoi bambini avevano il Mac. E, sempre secondo Lynch, bisogna completare le informazioni e le impressioni che abbiamo con accurati approfondimenti sul prodotto e sul settore prima di acquistare. In tempi in cui l’accesso alle informazioni societarie era molto più ostico di oggi, Lynch fu un pioniere nel tenere contatti con le società e capire così l’accounting usato e anticipare l’evoluzione dei cambiamenti societari. Fu uno dei primi investitori in Nokia durante la fase di cessione dei suoi molti business tradizionali per concentrarsi sulla telefonia.
3) Non provare a prevedere il ciclo economico. Argutamente ci fa notare che indovinare per tre volte di fila l’andamento dei tassi americani ti può rendere miliardario. E non vi sono tanti miliardari in giro… Meglio focalizzarci sui titoli che possono accrescere gli utili attraverso i diversi cicli.
4) La volatilità è un fantastico alleato se sai cosa hai in portafoglio (e se i tuoi clienti si fidano di te).
Per chi mastica un po’ di inglese mettiamo il link a uno spassoso discorso tenuto nel ‘94 al National Press Club dove riprende con aneddoti gustosi il suo stile.
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