いただきます
Il nostro titoletto si pronuncia itadakimasu ed è un’espressione che si usa in Giappone per augurare buon appetito, ma che letteralmente vuol dire “io ricevo qualcosa”. E c’è tanto da ricevere sul mercato giapponese … Venerdì Panasonic ha annunciato di aver venduto l’anno scorso 1,4 milioni di azioni di Tesla comprate nel 2010 per circa 30 mln di USD. La rivalutazione è stata superiore al 1000% e la plusvalenza superiore ai 3,5 bln usd. Il titolo è salito del 5%, a dimostrazione di quanto gli investitori non sapessero che Panasonic avesse una partecipazione in Tesla. Le società giapponesi detengono di norma una partecipazione azionaria in tutti i propri clienti quotati, e Tesla per Panasonic non faceva eccezione. Dalle SOP (“Somma delle Parti”) dei vari analisti raramente emergeva questa partecipazione, nonostante rappresentasse oltre il 10% della capitalizzazione del gruppo. I titoli giapponesi sono veramente gemme sconosciute e incomprese. Proprio giovedì abbiamo fatto una videocall di oltre due ore con Panasonic. Come sempre sono gentilissimi e amabili. Il concetto di società giapponese è quanto più si avvicina al socialismo utopico. In fondo non può non piacere, almeno idealmente. Purtroppo è infinitamente lontano dalla reale natura dell’uomo e da ciò che l’investitore apprezza. Che tu sia un ingegnere in un settore super fico o in uno scarso, in Panasonic guadagni la stessa cifra. Il dipendente di Panasonic in media lavora 22 anni con la società. Una divisione in perdita non viene chiusa, bensì le sue perdite si compensano con gli utili delle divisioni in utile. Tuttavia, le cose stanno cambiando. Velocemente. Panasonic è stata divisa in 5 divisioni. Nessuna finanzierà più le altre. La possibilità di quotazione della divisione batterie non è più una fantasia. Questa divisione ha bisogno di investire e il costo del capitale è bassissimo per le società pure operanti in questo settore. Solo le divisioni air conditioning e batterie al litio varrebbero, ciascuna da sola, se quotate liberamente sul mercato e in base alle attuali valutazioni dei competitor, non lontano dal valore di tutta Panasonic. La saga di Toshiba probabilmente impedirà d’ora in poi al governo di intervenire o tramare nell’ombra per proteggere le grosse società e sensibilizzerà i consigli di amministrazione verso la volontà e gli interessi degli azionisti. I barbari 外人 (pronunciato gaijin, ovvero stranieri) americani ed europei stanno silenziosamente accumulando azioni giapponesi. Il banchetto è ancora intonso. Lo yen debole e gli ospiti distratti. Vale la pena imbucarsi. Ora.
Panasonic rappresenta quasi il 10% del fondo Pharus Electric Mobility Niches. Abbiamo venerdì venduto una piccola posizione per non superare il limite UCITS del 10%. Panasonic è il secondo titolo per peso del fondo NEF SDG (2,4%). Infine abbiamo Panasonic anche sul fondo Pharus Asian Niches (0,7%), nella Nicchia Electric Mobility.
Correva il 2003 …
… ed ero in Brasile. Il mercato azionario lì era super cheap e apparentemente molto interessante, pieno di società che avrebbero potuto beneficiare dal processo di globalizzazione partito da poco. Parlando con un broker del posto con grande esperienza gli chiesi cosa pensasse delle opportunità di quel mercato. Mi rispose con un ghigno, tra il triste e il compiaciuto, e mi disse “il mercato azionario brasiliano è il mercato del futuro”, poi, dopo una pausa teatrale, continuò “…e sempre lo sarà!”. E rise. Con questo voleva chiaramente dire che il mercato azionario brasiliano sarà sempre foriero di illusioni ma che non darà mai veramente soddisfazioni. D’altronde quel pover’uomo (e lo dico con sentimento) aveva lavorato su un mercato che a 10 anni era negativo del 30% (70% in termini reali) e del 60% a 3 anni. Quanto mi pento di aver portato con me quella negatività che mi impedì di investire in modo più incisivo e costante in Brasile. Nei successivi 10 anni quel mercato si moltiplicò, in dollar terms, per 10!
Spostiamoci più avanti di 16 anni, 2019. Siamo a Londra e, costituita Niche AM e lanciato il primo fondo, Pharus Asian Niches, stiamo accumulando azioni coreane a cui abbiamo dedicato una Nicchia (Korea Reunification). La Corea è un mercato che abbiamo seguito per parecchi anni e visitato diverse volte, visto le valutazioni e la qualità delle sue società, i fondamentali del Paese e l’attitudine verso il lavoro e l’onesta’ della sua popolazione. Il 2019 fu terribile per la Corea. Con un mercato mondiale che saliva la Corea si schiantava ogni giorno. Una mattina ricordo che mi chiama un broker che conoscevo ormai da alcuni anni. Basato a Parigi e con grande esperienza in Asia, su cui era focalizzato. Mi parlò come si può parlare a un fratello. Quasi sussurrando mi fece capire quanto la Corea fosse pericolosa. E guardando i grafici del passato chiunque ne puo’ constatare la volatilita’. Mi raccontò di quanti clienti suoi furono rimasti scottati dal Paese. Gli spiegai che avevamo una Nicchia del fondo Asian Niches focalizzata su quell’area e che eravamo molto positivi. Chiuse la telefonata con una rima che mi disse era famosa tra i gestori dell’area: “too much of Korea is bad of your career” (troppa Corea è negativa per la tua carriera..). Fortunatamente qui eravamo abbastanza scafati da fare spallucce, sebbene non sia mai possibile essere completamente impermeabili ad affermazioni come quella, almeno quando escono da qualcuno che stimi e con tanta esperienza. A due anni quel mercato è su di oltre il 70%, sovraperformando drammaticamente quasi tutti i mercati mondiali.
Qualche giorno fa parlando con un collega e amico che gestisce qui a Londra alcuni fondi asiatici per un noto asset manager, ho un déjà-vu. Parlando delle small caps indonesiane mi fa capire che secondo lui quell’asset class, per quanto attraente sulle valutazioni, non ha speranze, priva di catalyst e compratori. Anche qui, come non cogliere il piglio pragmatico che spesso fa sopravvivere il gestore. Con un po’ di fantasia paragonabile alla reazione del cane di Pavlov. L’esperienza ci aiuta a sopravvivere e la maggior parte degli esseri viventi la usano a loro beneficio. Tuttavia, in Borsa non sempre, o meglio quasi mai, serve, almeno nel lungo periodo. Da quando l’indice MSCI Indonesia Small Caps è stato creato (2014) questa asset class ha riportato una performance total return in USD del -56%. Nello stesso periodo l’indice MSCI sulle small caps mondiali ha fatto il +102%, quello sulle small dei paesi emergenti il 55%, small caps tailandesi il 46%, cinesi il 56% e indiane il 111%. Difficile stupirsi, quindi, di questo atteggiamento eufemisticamente cauto su questa asset class. Asset class a cui dedichiamo una Nicchia che occupa il 10% del fondo Pharus Asian Niches e su cui stiamo creando un fondo puro.
Qualche giorno fa la Banca Mondiale è uscita con un interessante analisi dell’Indonesia (clicca qui per visualizzare il report). Ne esce fuori un Paese in difficoltà, ma con grandi risorse per uscirne. Sistema bancario solido. Poco debito pubblico con significativo margine per aumentarlo. Potenzialità per attirare investitori attraverso una modernizzazione del mercato dei bond governativi. Fondo sovrano in costituzione che dovrebbe permettere di finalmente accelerare la spesa in infrastrutture. Come il Giappone, anche l’Indonesia è rimasta molto indietro dall’uscita dal Covid e la ripresa dell’economia. E la pressione si sente. Tuttavia il Covid rappresenta per molti paesi uno scrollone per non più rimandare manovre strutturali importanti. Per le small caps in Indonesia potrebbe rappresentare un catalyst importante per permettere la chiusura di una gap valutativo arrivato a livelli estremi.
Pere e cioccolata
Quante parole riversate sull’inflazione. Molto spesso il mercato si fissa su alcuni temi e le più brillanti menti vengono sprecate a speculare sul sesso degli angeli. L’inflazione attuale è legata a potenti colli di bottiglia post-covid che creano uno sbilanciamento tra domanda ed offerta. Questo è temporaneo. La vera inflazione normalmente la crea il mercato del lavoro. Qui il mercato è in effetti serrato per alcune categorie ma non per la maggior parte. Come d’altronde lo era prima. Il protezionismo che vediamo diffondersi, insieme agli enormi investimenti in infrastrutture, dovrebbero portare ad un po’ di inflazione di medio periodo su tutto il mercato del lavoro, incluse quindi le figure professionali meno specializzate, categoria questa lasciata ai margini negli ultimi anni. Questo è positivo. Inoltre un allentamento da parte dei regolatori dovrebbe permettere più investimenti da parte di utilities e telefonici, ma anche un rialzo delle tariffe. Qui anche è positivo. È vitale tornare ad un livello di inflazione normale dopo anni di deflazione e di inflazione focalizzata su prodotti di lusso e su stipendi molto alti. È un processo che va controllato e monitorato ma rimane un processo positivo. Dovremmo gioire di ciò. E comprare un po’ di value che ben si abbina al ritorno dell’inflazione. Come le pere con la cioccolata …
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