Euro è morto. Lunga vita all’euro!
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Mentre in settimana la Bce avverte che il Pil dell’eurozona scendera’ tra l’8% e il 12% nel 2020 e che il debito dell’area passerà dall’86% al 100% del GDP, i progressi sul recovery fund sono stati sorprendenti. A dimostrazione che quando l’elefante teutonico prende una posizione, il resto del nord/nord-est Europa segue. Ci auguriamo che i soldi arrivino insieme a un rafforzamento dei poteri di Bruxelles in ambito fiscale. La proposta di tassazione societaria per l’accesso al mercato unico va in questa direzione ma e’ molto timida. Questo e’ una grande opportunità per l’UE e per la zona euro. Sebbene il fondo ci metterà mesi prima di essere pronto, la Bce assorbirà buona parte del trilione di euro di nuovo debito che ci si aspetta verrà emesso dai governi dell’euro-area quest’anno.
L’euro ha iniziato a rafforzarsi. Se gli inevitabili intoppi e ritardi che ci separano dalla creazione e rilascio del fondo non saranno gravi, ci aspettiamo che l’euro possa continuare il trend. In particolare se il fondo sarà capace di rendere politicamente più accettabili le inevitabili riforme strutturali, vitali in Italia. L’area euro post-Covid presenta un debito aggregato inferiore agli Usa e un avanzo commerciale cospicuo che possono aiutare l’euro a recuperare verso livelli vicino al PPP (tra 1,15 e 1,30).
Speranza, c’è sempre speranza negli USA
Intanto negli USA le vendite di nuove case sono inaspettatamente aumentate in aprile, segnale che i tassi dei mutui a livelli record attraggono e che la percezione del futuro da parte del consumatore americano non e’ così cupa.
In questi ultimi giorni il Covid lascia spazio alle insurrezioni popolari legate al terribile omicidio di un ragazzo di colore da parte della polizia americana. Il tragico evento e’ il risultato di un fenomeno diffuso nella polizia negli USA, in particolare verso le minoranze etniche, fenomeno e che e’ stato più volte denunciato. Queste proteste, sebbene in alcuni casi tristemente violente, sono importanti per migliorare la situazione. Non vediamo ripercussioni importanti sui mercati.
Telecom, down but not out
Riguardando il settore telefonico e’ interessante come la vendita annunciata di torri da parte dei vari operatori porti a un rerating dei titoli. Infatti le torri vengono scambiate nei paesi occidentali tra i 17 e 22 volte l’EBITDA, mentre gli operatori che le detengono scambiano tra i 4 e i 5,5 volte l’EBITDA. Nei paesi emergenti i multipli diventano rispettivamente 10/14x e 2/4,5x. Come per la Ferrari che vale poco dentro Fiat ma vale oltre 2 volte Fiat se scorporata, lo stesso malsano principio vale per le torri dei telefonici. Sebbene la logica manchi, come spesso accade in questo mercato growth/quant, le società telefoniche si adattano, e sempre di più sono quelle che si affacciano a queste operazioni. Da uno studio di Bank of America emerge che queste possono avere un impatto medio del 20% sulle valutazioni dei telefonici europei, con picchi del 70%. E un impatto medio del 30% sui telefonici emergenti, con picchi del 100%. Anche a essere prudenti e circospetti, e’ difficile non leggere la cosa come una ulteriore protezione sul downside che questo settore offre.
Curiosando..
Un articolo nell’FT del week end e’ emblematico di come parte del mercato oggi si senta. Il suo titolo e’ “Il rally del mercato e’ basato su assunzioni ottimistiche”. L’articolo e’ ben scritto e indaga sulla possibilità che questo rally tenga e quali sono i rischi invece che il mercato non
veda o non voglia vedere le sfide che ci attendono. La prima considerazione e’ che il mercato si trova al 10% dai massimi. Questo vale per lo S&P500 (il Nasdaq e’ addirittura positivo) ma non vale per gli indici europei che giacciono a -21% dai massimi di febbraio e sono tornati si livelli del 2011. Questo non vale neanche per Hong Kong (-21%), per il Brasile (non distante dai livelli del 2009), Indonesia (-45% dai massimi, al livello del 2012) e molti altri. La Corea e’ “solo” il 17% sotto i massimi dell’anno, ma e’ sotto del 33% rispetto ai massimi del 2018. L’articolo rileva che i tecnologici e staples hanno guidato il recupero ma che ora il rally si e’ allargato al resto del mercato. Chiamare rally il rimbalzino del resto del mercato appare generoso assai. Almeno in Europa. Le banche rimangono in generale decapitate, tra il 45 e il 55% della loro market cap ai massimi. Come le auto. Chimici, real estate e assicurativi tra il 35 e il 50%. I telefonici tra il 30 e il 40%. I titoli esposti al turismo, alla pubblicità e i retailer sono messi come e peggio delle banche. Un anno di forte difficoltà fa scendere il valore delle societa’ del 30/50%? Dove e’ finito l’entusiasmo per le valutazioni basate sul DCF? A meno che tali società non scontino un possibile fallimento il ribasso appare esagerato. L’articolo poi cita i 15k licenziamenti annunciati dalla Renault in settimana come evidenza dell’ondata di cattive notizie che arriverà. Questi licenziamenti sono legati a un trend che non c’entra nulla con la pandemia. Questa lo ha solo accelerato. Il settore auto deve ristrutturarsi. Come i retailer. Tocco’ ai telefonici e alle banche qualche anno fa. L’economia evolve. Un report del WorldEconomic Forum (http://www3.weforum.org/docs/WEF_Jobs_of_Tomorrow_2020.pdf)
individua la creazione di 2,4 mln di posti di lavoro totalmente nuovi nei prossimi 2 anni, nella cura delle persone, nell’AI e nel cloud, nella green economy, nella formazione, nel marketing, etc. Inoltre, come già detto, ci aspettiamo che dopo i tanti problemi di supply chain, parte della manifattura venga riportata, in versione più automatizzata, in Europa.
Il giornalista parla poi di secondo hard lockdown, crisi bancarie, forte ripresa delle tensioni tra Usa e Cina, tutte cose che abbiamo già dibattuto e che non vediamo probabili. Quello che tuttavia vediamo e’ che vi sono parti del mercato marcatamente in bolla. I tassi a zero hanno reso la bolla significativa. Su molti titoli c’e’ una frenesia vista poche volte. Sappiamo per certo che non ha una base logica. Infatti sono troppi i titoli che scontano moltissimi anni di crescita significativa. E questo non può avvenire. Tassi bassi, trend prolungati, modellistica quant per definire i portafogli e il comportamento dei benchmark influiscono a questo comportamento. Non sappiamo tuttavia quando questa frenesia finirà e come finirà. E questo un po’ ci inquieta. Sicuramente l’attuale fase di mercato passerà alla storia, come l’88/89/90 sul mercato Giapponese e il 98/99/00 col TMT. Ricordiamoci che la parte più value del mercato e’ entrata in questa crisi con valutazioni già molto depresse. Il contrario vale per la parte growth. Comunque alla fine una società vale per gli utili che genererà. Scontare all’infinito l’attuale crescita o decrescita degli utili e in più non considerare le componenti patrimoniali e sempre stato latore di eccessi, che d’altronde risiedono nella natura umana di cui il mercato e’ espressione.
Rimaniamo fedeli e disciplinati nella nostra strategia e vediamo eccezionali opportunità nel nostro portafoglio e in generale nel value che presenta un profilo rischio/beneficio incredibilmente attraente.
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