Opzioni ignoranti
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Nel sito della Borsa si legge: “le opzioni sono strumenti finanziari il cui valore non è autonomo ma deriva dal prezzo di una attività sottostante di varia natura (reale come nel caso di materie prime quali grano, oro, petrolio, ecc., oppure finanziaria come nel caso di azioni, obbligazioni, tassi di cambio, indici, ecc.). Il termine “derivato” indica questa dipendenza. Possiamo quindi definire le opzioni come dei contratti finanziari che danno all’acquirente il diritto, ma non l’obbligo, dietro il pagamento di un prezzo (premio), di esercitare o meno la facoltà di acquistare (Call) o vendere (Put) una data quantità di una determinata attività finanziaria, detta sottostante, a una determinata data di scadenza o entro tale data e a un determinato prezzo di esercizio (strike price).”
Le opzioni hanno tanti vantaggi, tra cui quello di avere una leva notevole sul capitale di rischio investito (che le rende molto speculative) e di permettere all’investitore di implementare diverse strategie di investimento e copertura. Vi sono tuttavia degli svantaggi importanti. Il primo è rappresentato dal costo spesso esorbitante, sia per le commissioni di negoziazione, sia per l’illiquidità di alcuni strumenti che portano a gap significativi tra denaro e lettera. Il secondo è la componente tempo che riduce di molto le probabilità di realizzare una plusvalenza.
Il mercato offre spesso la possibilità di investire su opzioni call senza tuttavia incorrere in costi alti o avere limiti di tempo. Queste opportunità sono date da titoli che hanno una leva finanziaria molto alta e dove la componente equity è andata quasi a zero. Un tempo questi casi erano relegati a società vicino al fallimento ma oggi sono diversi i casi dove abbiamo società di qualità la cui componente equity nell’ambito dell’EV tende a zero. Sebbene questi titoli debbano comunque essere considerati nettamente più rischiosi della media dei titoli quotati (il rischio poi cambia molto a seconda dei casi) e conseguentemente pesati, riteniamo che questo gruppo di società, proprio grazie a questa conformazione, presentino spesso dei profili rischio/rendimento estremamente interessanti (rischio alto ma possibilità di rendimento ancora più alta) e offrano un’alternativa attraente alla semplice opzione call con obiettivi speculativi.
Qui di seguito facciamo giusto qualche esempio di queste opzioni ignoranti che sono in realtà molte sul mercato.
Telecom Italia. Pur dopo il bid di KKR e la molta attenzione attirata, il titolo ha una capitalizzazione di circa 8,5 miliardi di euro con un debito netto di ben 27 miliardi. Abbiamo quindi un Valore d’Impresa di 35,5 miliardi di euro dove l’equity vale solo il 24%. La società quota oggi a 5,6x l’EBITDA (solo 2,6x tuttavia escludendo Brasile, Inwit, Fibercop, Noovle, perdite fiscali). Un rerating di appena il 20% di questo multiplo, da 5,6X a 6,7x l’EBITDA, porterebbe l’equity a raddoppiare. Nel caso il rerating non ci fosse, ma la società mantenesse un FCF yield intorno al 15% (le tariffe telefoniche oggi sono già molto basse quindi è probabile che ci riesca) in poco più di 6 anni la società sostituirebbe 8,5 miliardi di debito con l’equity, portando nuovamente il titolo a raddoppiare. Sul downside, viste le implicazioni politiche e strategiche di una società che possiede la rete fissa di un paese importante, riteniamo molto limitate (ma non pari a zero) la possibilità che il titolo venga fatto fallire o che sia soggetto ad aumenti di capitali super diluitivi. In quest’ultimo caso l’investitore, se avrà avuto l’accortezza di non esporsi troppo, potrà parteciparvi evitando la diluizione e trovandosi ad avere un titolo con meno upside, ma più solido. Come si vede il profilo rischio beneficio sembra interessante. Esporsi all’azione risparmio che paga obbligatoriamente il 7% (se la società è in utile) rappresenta probabilmente la scelta migliore.
Banche regionali giapponesi. Tutte le banche sono opzioni come dolosamente abbiamo imparato durante la grande crisi finanziaria del 2008. Oggi la maggior parte delle banche (escluse quelle in USA) tratta sotto il patrimonio netto tangibile nonostante il business sia molto meno rischioso e il capitale molto più solido. Una quindicina di anni di espiazione forzata dal regolatore crediamo sia sufficiente e il settore è pronto a ritornare a valutazioni “normali”. Nessun business sopravvive se non guadagna il proprio costo del capitale e le banche, gradualmente, vi stanno arrivando, pur in un contesto economico difficile che presenta tassi di interesse a zero. Riteniamo quindi che inevitabilmente questo settore tornerà a trattare sopra il patrimonio netto tangibile. Questo per molti istituti vuol dire raddoppiare. Il downside è sicuramente legato alle perdite su crediti che, vista la leva del business, potrebbe portare, in teoria, anche alla distruzione di tutto il capitale. Tuttavia, come menzionato, oggi le banche sono molto più diversificate e solide e questa ipotesi, sebbene non sia da escludere, appare remota. Quindi il profilo rischio/beneficio del settore è molto interessante. Vi sono poi delle nicchie che meritano una menzione particolare e sicuramente spiccano come opzioni attraenti. Ci riferiamo qui alle banche regionali giapponesi, società mediamente non coperte dagli analisti e che trattano tra lo 0,1x e lo 0,25x il patrimonio netto tangibile. Nonostante siano profittevoli, abbiano il capitale solido e paghino dividendi. Inoltre, il settore è soggetto ad una ventata di consolidamento. Facciamo su questo settore quotidianamente engagement per stimolare il miglioramento dei fattori ESG con ottimi risultati e questo crediamo attirerà l’interesse di altri investitori. Qui vediamo un’opportunità opzionale particolarmente attraente.
Veon. Un altro telefonico. Non c’è da stupirsi. Se le banche sono state in purgatorio per 15 anni i telefonici vi sono ormai da oltre 20. Veon raggiunge i picchi in quanto miseria e sfortuna. Nel settore, già devastato, Veon sta agli altri telefonici come la povera Anna Karenina sta alle liceali protagoniste del film “Il tempo delle mele”. Sebbene giuridicamente olandese, la società è esposta per il 50% al mercato russo, economia che come sappiamo vive una fase difficile per ragioni politiche. È poi esposta all’Ucraina (no comment…) e al Kazhakistan (no comment…). È anche esposta ad altre economie dell’Asia centrale che non se la passano bene come il Pakistan, il Turkmenistan, l’Uzbekistan. Infine, è esposta al Bangladesh, unica area oggi a non creare preoccupazioni. In passato, per sottolineare quanto la società sia sfortunella, fu esposta al terribile mercato italiano (attraverso Wind) e ad altri Paesi geopoliticamente difficili come Algeria ed Egitto. Un tempo questa esposizione veniva vista con gran interesse, vista l’importanza strategica del settore e la demografia in queste aree. Dopo 10 anni di svalutazione delle valute emergenti, di problematiche geopolitiche ed economiche, l’interesse degli investitori verso l’area emergente e di frontiera è crollato. Veon è ben gestita e rappresenta un asset importante nelle aree in cui opera e quindi beneficia di una certa attenzione da parte dei governi. La società è poi ben diversificata, elemento questo che la protegge da brutte sorprese. Tuttavia, la sua esposizione del 50% al mercato russo rappresenta un rischio sostanziale. La società vale in borsa circa 2,5 miliardi di dollari e ha un debito netto di circa 8,2 miliardi. Quindi il valore di impresa è di 10,7 miliardi di dollari e l’equity rappresenta il 23%, simile al valore che abbiamo su Telecom Italia. Eppure, qui il debito è solo 2,5X l’EBITDA vs 4X per Telecom Italia. Questo compensa il maggiore costo del suo debito. La società ha un EBITDA di 3,7 miliardi di dollari, tratta a 2.9x EV/EBITDA e paga un dividendo superiore al 12%. Un rerating dell’EV a 5x l’EBITDA porterebbe l’equity a quadruplicare (5×3,7=18,5 18,5-8,2=10,3 10,3/2,5=4,1x). Anche qui l’opzione ignorante sembra interessante.
Carpe malum
La mela è un frutto eccezionale. È ricca di sali minerali e vitamine del gruppo B; quindi, fa bene alle mucose intestinali e della bocca, previene l’impoverimento di unghie e capelli, combatte la stanchezza e l’inappetenza. Inoltre, gli acidi citrico e malico contribuiscono al benessere della persona, in particolare dell’apparato digerente, perché facilitano la digestione e mantengono inalterata l’acidità. Infine, è facile da coltivare, buona, economica e, soprattutto, si conserva per molto molto tempo alla giusta temperatura. La sua omonima nel consumer electronics si dimostra anch’essa parecchio longeva e assolutamente benefica. Infatti, il suo eccezionale trend ascendente ha trasformato 1000 dollari investiti 20 anni fa in 1,5 mln di USD. I risultati usciti giovedì sono molto buoni. Cosa ci dicono? Ci dicono che grazie alle spalle da gorilla e ad una buona organizzazione le problematiche logistiche non hanno toccato Apple e di questo la società ha beneficiato conquistando market share. Ci dicono che basta un modesto aumento di market share e una riduzione degli investimenti per far esplodere il Free Cash Flow. Questo in termini assoluti. In termini relativi, anche ottimisticamente annualizzando un trimestre bomba, arriviamo “appena” ad un dignitoso FCF del 5%. Ci dicono poi che il 33% dei telefoni mobili attivi è ora Apple (1.8 miliardi). Considerando che nei Paesi Occidentali vi sono circa 800 mln di utenti attivi e quasi la metà ha un iPhone, risulta che dei 4.5 miliardi di utenti attivi nei paesi emergenti oltre 1/4 è Apple. Questo è un risultato incredibile visto il costo dei suoi device. Frutto di un brand eccezionale che lo rende capace di forzare il budget personale di molti individui pur di possederlo. Chiaramente da qui può difficilmente ancora crescere in termini di penetrazione. Tuttavia, se questi 1.8 miliardi di utenti attivi riusciamo a farli spendere di più in servizi la leva c’è, ma a 25x gli utili (solo un piccolo sconto rispetto alle 20x l’ebitda in quanto non ha immobilizzazioni da ammortizzare) questa leva sembra già prezzata.
La società vorrebbe trasformare 1.8 miliardi utilizzatori dell’iPhone in consumatori di servizi. Infatti, solo la metà degli iPhone in uso è un sottoscrittore pagante di uno o più dei servizi di Apple. Ora sogniamo e mettiamoci nei panni di chi compra il titolo che vuole un upside. Guardiamo alle opportunità. Ipotizziamo che tutti i telefonini Apple attivi diventino sottoscrittori paganti (rispetto, come abbiamo detto, ad una metà scarsa oggi). Ipotizziamo inoltre che l’attuale importo medio pagato dai sottoscrittori raddoppi. Questo vuol dire che ogni possessore di un telefono Apple pagherà circa 200 USD all’anno per i servizi Apple, rispetto ai 100 USD pagati in media oggi dalla metà dei possessori di telefonini Apple. Tantissimo considerando che la maggior parte dei suoi telefoni attivi si trovano nei Paesi Emergenti. Possiamo dire il blue sky scenario. Sarebbero altri 150 bln USD all’anno di top line che al 60% di margine operativo sarebbe 90 bln usd che tassati verrebbe circa 72 bln di maggiore utile netto, quindi un utile totale 170 bln USD. Questo farebbe scendere il P/E da 25x a 16x, un multiplo non particolarmente basso per un’ipotesi molto ottimistica… Difatti, pensare che una crescita come quella appena ipotizzata nei servizi si realizzi è difficile, con il regolatore che preme per limitare le fee che carica sulle app terze acquistate. Ipotizzare poi una crescita addirittura maggiore dell’ipotesi appena fatta implica una certa fantasia.
Per vedere upside nel titolo oggi bisogna quindi non solo scontare forte crescita nei servizi legati agli iPhone, ma anche scontare forte crescita in nuovi settori dove la società possa fare leva sul marchio Apple. Questo ha senso, ma finora alla Apple non sono stati capaci di innovare il loro telefono, figurarsi immaginare qualcosa di nuovo! Cook non è Jobs. È un amministrativo con grandi doti politiche, un formidabile manager senza troppa immaginazione. Ricordiamoci che è colui che nel 2017 non ha neanche concesso un meeting ad Elon Musk che voleva vendergli la Tesla al 5% di quanto vale ora…
Sul versante negativo il rischio di Apple è rappresentato (come spesso succede) proprio dallo stesso fattore che le ha dato l’opportunità di divenire e rimanere egemone nel suo segmento: la mancanza di competizione. Ci chiediamo se l’uscita del nuovo telefono Google Pixel 6 non rappresenti il risveglio di un gigante (Alphabet) che sembrava aver stretto con Apple un accordo di non concorrenza. Questo nuovo telefono sfrutta un ottimo brand, è tecnicamente uguale o migliore dell’iPhone e costa meno. Introdotto a novembre è piaciuto molto, ma non vi erano pezzi sufficienti per via della scarsità di chip. Guarda caso esce fuori quando l’accordo tra Alphabet e Apple che permette a Google di essere il motore di ricerca di Safari (dietro il pagamento di 15 bln USD all’anno) sembra sull’orlo del collasso per motivi di antitrust. Un altro potente gigante dal brand sexy, Sony, sembra aver scelto di non competere veramente con Apple per vendergli milioni di sensori (per esempio l’IPhone 13 monta 3 sensori Sony). L’Xperia PRO-I, l’Xperia 1-III e l’Xperia 5-III sono telefoni eccezionali. Sono solo prezzati a livelli irragionevoli e non viene fatta alcuna pubblicità. Ma più il cash-flow di Apple cresce, più i potenziali competitori potrebbero volere un pezzo della torta e non accontentarsi solo delle briciole. Riteniamo società come Sony e Alphabet molto più attraenti in termini di potenziale di crescita (mangiare quote di mercato ad Apple potrebbe essere molto profittevole…), di minor rischio (entrambe sono molto più diversificate di Apple) e di valutazioni (trattano rispettivamente a 8x e 15x EV/EBITDA contro 20x di Apple). Pensare poi a LVMH che lancia un telefono nella fascia alta è tutto meno che impensabile e come lei molti altri. Ricordiamoci che oggi fare un telefonino è molto meno complicato che in passato. Come Apple ci insegna, non bisogna più produrre direttamente o inventare qualcosa di nuovo.
Come nel value l’80% dello sforzo è nell’individuare il punto di inflessione positivo, ossia quando il titolo si gira al rialzo, iniziando un trend positivo, così nel growth l’80% dello sforzo è nell’individuare il punto di inflessione negativo, ossia quando il titolo si gira al ribasso, iniziando un trend negativo. Apple sembra vicina a questo punto di inflessione e in ogni caso il profilo rischio/beneficio non risulta a nostro avviso attraente. Come già accennato, l’upside potenziale non sembra comparabile al downside. Tuttavia, l’ultima parte di un trend è sempre quella più violenta ed irrazionale. Quella che spacca le gambe e fa gettare la spugna a coloro che remano contro il trend e che fa entrare (o uscire) l’ultima e corposa vagonata di investitori. Ricordiamoci che Apple ha per ormai due decenni sorpreso al rialzo il mercato. Rappresenta il frutto proibito per coloro che shortano i titoli. Chiunque di questi abbia osato toccare la mela e sia andato corto ha sentito le fiamme dell’inferno. Inclusi noi che, sebbene non andiamo corti, siamo stati lontani dall’investire qui i risparmi dei nostri clienti.
Come alle mele basta alzare di poco la temperatura di conservazione per fargli perdere la loro freschezza, così ad Apple basterebbe perdere poca quota di mercato per vedere la sua valutazione dolorosamente ridimensionata. Per ora, però, la quota di mercato continua a salire e, come il grande Orazio ci insegna, è giusto che gli azionisti si godano oggi il frutto proibito.
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