SINE Energy
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Cosa è Siemens Energy?
Siemens Energy è una bella multinazionale quotata in Germania. È uno spin-off di Siemens del 2020. Contiene due macro-business. Il primo raggruppa attività legate alla rete energetica, alle turbine e all’idrogeno. Il secondo è leader nella produzione e gestione di mulini a vento per la produzione di energia eolica. Siamo nell’era della transizione energetica, dove trilioni di dollari verranno spesi per ridurre le venefiche emissioni di CO2, investendo sulle fonti rinnovabili e modernizzando la rete e le infrastrutture energetiche. Il mondo dispone oggi di circa 8 Terawatt di capacità di generazione elettrica che è destinata a crescere significativamente con lo sviluppo della mobilità elettrica. Per rispettare il NET ZERO EMISSION scenario da raggiungere nel 2050, entro il 2030 la percentuale di generazione di elettricità derivante da rinnovabili e altre fonti a bassa emissione dovrà passare dal 37% al 73% (vedi grafico qui sotto).
Ci sono voluti 33 anni per raggiungere un Terawatt (1000 Giga) di capacità eolica. Secondo il GWEC (Global Wind Energy Council – GWEC-2023_interactive.pdf) tale capacità verrà raddoppiata nei prossimi 7 anni (qui sotto un istogramma con la crescita prevista di capacità eolica). Apparentemente non vi è posto migliore dove stare investiti per beneficiare del trend della transizione energetica di Siemens Energy. Apparentemente.
Cosa è successo?
Come accennato precedentemente, la società può essere divisa in due grosse divisioni, una strumentale all’efficientamento delle strutture esistenti di produzione e trasmissione dell’energia e l’altra focalizzata sulla produzione, installazione e gestione dei mulini a vento che vediamo sempre di più intorno a noi quando usciamo dalle nostre città. La prima divisione sta uscendo da un ventennio di torpore caratterizzato da eccessiva competizione e sotto investimenti. Questa rinascita la si deve al consolidamento dell’industria, la limitata competizione cinese in un settore cosi’ strategico e alla volontà politica di limitare drasticamente le emissioni di gas serra, che implica investimenti enormi per il prossimo decennio.
La seconda divisione, il cui nome è Siemens Gamesa, sta passando invece una fase difficile, legata alla sua natura complessa e relativamente nuova. La costruzione di questi campi eolici composti da centinaia di enormi mulini rappresenta un esercizio di dimensioni ciclopiche. Per dare al lettore un punto di riferimento, un parco eolico offshore (in acque basse) con la potenza di un gigawatt (ossia 1000 megawatt, ossia la potenza necessaria per mantenere accese 100 milioni di luci led o per fornire energia a oltre 500mila famiglie) costa circa 3 miliardi di euro per la costruzione e circa 100 milioni di euro all’anno per la gestione. Lo sviluppo di simili progetti si estende per diversi anni, da un minimo di 2 anni fino a 7 anni. L’organizzazione necessaria è quindi molto complessa, non distante da quella necessaria per costruire una centrale nucleare e molto maggiore di quella per costruire una grande diga. A parità di capacità, l’impiego di acciaio è 15 volte superiore a quello di una centrale a gas. Il portafoglio ordini per queste commesse si estende per diversi anni, con contratti che tuttavia solo marginalmente tengono conto della variazione del costo dei materiali. Inoltre, non vi sono indennizzi per interruzione cantieri per cause eccezionali. Pandemia e invasione ucraina hanno quindi creato delle perdite significative su questi contratti pluriennali. E questa è solo la parte più vecchia della storia, quella che portò il titolo da oltre 30 euro per azione a meno di 11 euro circa 2 anni fa. Come sempre accade, l’industria poi rivede il listino prezzi significativamente e riesce a concordare coi clienti condizioni più favorevoli che gli garantiranno una buona profittabilità futura. Questo permise al titolo di recuperare da 11 euro per azione a 24 euro per azione. Ora viene il bello.
A maggio 2023 la società emette un comunicato in cui rivede AL RIALZO le stime di utile per il 2023 (l’anno civilistico della società si conclude a fine settembre). Le ragioni risiedono nella prima divisione che vede domanda e prezzi in forte rialzo. Nel comunicato si parla anche della seconda divisione, Siemens Gamesa, dicendo che i progressi sono più lenti di quanto sperato e che si vedranno solo verso la fine dell’anno. Quindi si ha una divisione in forma smagliante e la conferma che, sebbene piu’ lentamente del previsto, Siemens Gamesa si sta riprendendo. Quindici giorni dopo questi elementi vengono confermati alla conferenza di JPM a Londra (qui il link alla presentazione,). In tale contesto anche coloro che erano usciti dal titolo per via delle delusioni legate a Siemens Gamesa gradualmente vi rientrano, spingendo il titolo a 24 euro, nuovi massimi di periodo. A tale valutazione la società era ancora molto attraente anche per noi che siamo “deep value”, ossia che investiamo per quello che vediamo oggi, non quello che potrebbe esserci in futuro. Infatti, a quel prezzo, la società aveva una capitalizzazione di circa 19 miliardi di euro. Valutando la prima divisione ad un umile multiplo sugli utili di 11x e aggiungendo la JV indiana ai valori di mercato arriviamo a circa 17 miliardi di euro. La valutazione implicita per Siemens Gamesa era quindi 2 miliardi, ossia meno di 0,2X EV/Sales, un sesto di quanto recentemente pagato dalla società per ritirarla dal mercato (4 miliardi per un terzo della società, quindi 12 miliardi di euro) e un ottavo del multiplo EV/Sales della rivale Vestas (EV/Sales 1.6X). Ipotizzando vendite stabili e un ritorno ad un EBIT margin del 10% Siemens Gamesa vale prudenzialmente almeno 12 miliardi di euro (1.2X EV/Sales, 11X EV/EBIT), quindi 10 miliardi in più di quanto non fosse valutata quando valeva 24 euro, ossia 36 euro per azione. Chiaramente l’EBIT margin del 10% non era dietro l’angolo, ma era un risultato raggiungibile.
Il 21 di giugno la società esce con un comunicato esplosivo: la divisione Siemens Gamesa ha trovato nuovi problemi di componentistica e/o di design su circa 1/3 della base installata. Questo comporterà oltre 1 miliardo di costi spalmati su 5 anni e ritarderà il turnaround. La società ribadisce i target di vendita rilasciati da poco e di profittabilità sulla prima divisione. Ritira i target come gruppo, non potendo ancora quantificare i costi inattesi su Siemens Gamesa. Il titolo perderà nei successivi 2 giorni circa il 40% della sua capitalizzazione, 8 miliardi di euro. Buona parte di questo ribasso lo si deve al fatto che gli investitori entrati dopo il recente rialzo delle stime di utili sono usciti, a prescindere dai prezzi, e che una parte di investitori già presenti ha ridotto le loro posizioni o non le ha aumentate in virtù della confusione che sembra regnare all’interno della società, dove problemi di entità estremamente rilevante emergono da un giorno all’altro, con il top management che sembra completamente estraneo all’andamento della società.
Kitchen sinking?
Con il termine Kitchen Sinking si riferisce in finanza all’attitudine di fornire informazioni più negative di quelle già negative in proprio possesso circa la società che si gestisce. Se questo da un lato implica immediatamente un effetto negativo, dall’altro “ribasa” le aspettative, migliorando la percezione dei dati futuri. Questo viene spesso fatto dai nuovi manager al fine di prendersi i meriti del futuro miglioramento. Con l’acquisizione del 33% di Siemens Gamesa non in possesso di Siemens Energy, il vecchio management di questa divisione è stato sostituito e ai fuoriusciti è stata imputata gran parte della responsabilità di anni di difficoltà della società. È possibile che il management abbia preso questa inattesa decisione per calcare i toni e abbassare esageratamente le aspettative.
DEJA VU’?
Correva l’anno 2006 e investivamo in EADS, la società che molti anni dopo si sarebbe ridenominata AIRBUS. La società aveva molti punti in comune con l’attuale Siemens Energy: 1) impegnata nel settore del capital equipment con commesse pluriennali e tecnologia delicata 2) le prospettive di crescita del business erano eccezionalmente favorevoli 3) la società aveva due divisioni, una che produceva grassi utili (la divisione Difesa) e una in difficoltà (la divisione Aerei Civili) 3) la divisione in difficoltà denunciava problemi tecnici e di comunicazione interna notevoli 4) la società operava in un regime di oligopolio con fortissime barriere all’entrata 5) la società era difesa dalla competizione cinese 6) la società era politicamente rilevante.
EADS ci mise anni qualche anno per rimettersi a posto, ma poi, gradualmente, il rerating arrivò. A fine 2009 Airbus valeva circa 12 miliardi di euro (come oggi Siemens Energy) con 42 miliardi di euro di vendite (34 miliardi le vendite attese per il prossimo anno di Siemens Energy) e una perdita di circa 800 milioni di euro derivante da sovra costi legati ai progetti A380 e A350 (1 miliardo circa di perdite legata componenti eccezionali per Siemens Gamesa). In dieci anni il titolo Airbus è decuplicato. Oggi Airbus è uno dei titoli europei più pesati nei portafogli, percepito come alta qualità e sicuramente beneficia della debolezza di Boeing e dell’attenzione in Europa sul settore della difesa. Tuttavia, a 16x EV/Ebit riteniamo non presenti un profilo rischio/beneficio sufficientemente attraente, considerati i tanti rischi del settore, contrariamente a Siemens Energy.
Conclusioni
Oggi Siemens Energy rappresenta il classico cane morto o “show me” company, ovvero una società che dovra’ radicalmente sorprendere per gradualmente recuperare terreno. Probabilmente ci vorrà tempo e il terreno comunque rimane sdrucciolevole e molto può ancora andare storto. Tuttavia, il profilo rischio/beneficio, la metrica su cui valutiamo ogni investimento, è eccezionale. La società non ha debito, ha una divisione che va molto bene con una alta leva operativa e crediamo che raramente si sia potuto acquistare un gioiello come Siemens Gamesa a queste valutazioni. Dando una valutazione di 17 miliardi alla prima divisione oggi si può comprare Siemens Gamesa ad un valore negativo di 6 miliardi!!! Abbiamo quindi usato la recente debolezza per incrementare le posizioni su questa società.
Nuova nicchia sul fondo Pharus Asian Value Niche
Contesto di mercato
Opportunisticamente cogliamo questa fase di confusione del mercato per aggiungere una nuova nicchia. Il mercato continua ad essere preoccupato dalle banche centrali che alzano i tassi. Le banche centrali sono preoccupate dall’inflazione. L’inflazione persistente è nell’attuale contesto inevitabile e positiva. Inevitabile perché viene gradualmente meno l’effetto deflazionistico che la Cina ha esercitato per un ventennio, mandando buona parte del mondo in stagnazione. Positiva perché è il riflesso di enormi investimenti indirizzati verso la transizione energetica e la ricostruzione di una supply chain più affidabile. Abbatterà i debiti pubblici e privati. Riporterà parte dell’equità sociale persa in questi anni. Getta le basi per un rialzo della componente value del mercato che, quando arriverà, sarà formidabile, non distante da quanto visto in situazioni simili, nel 1950 e nel 1982. Il rialzo dei tassi non bloccherà questi investimenti, ma inevitabilmente porterà problemi ad aree che si sono adattate ad un ambiente di tassi molto bassi. Assistiamo e assisteremo ad una generalizzata ripulitura della speculazione che è ancora forte. Le vittime come sempre saranno coloro che hanno preso più rischi; quindi, hanno beneficiato di molto debito o dell’eccesso di liquidità per cercare rendimenti in investimenti speculativi. Se molto del Private Equity e Private Debt in giro è di qualità, ve ne è una parte non trascurabile che entrerà in sofferenza. Si comprenderà che rendimenti del 15%/25% l’anno non sempre sono il risultato di menti fulgide, bensì della più banale leva finanziaria. Si comprende facilmente che un numero di questi signori si sono scambiati per anni gli asset per realizzare le famose exit. Anche altre aree vanno controllate, in particolare quella definita simpaticamente degli “asset reali”, definizione che tende subdolamente a creare un quantomai inappropriato senso di comfort nell’investitore finale. Noi, da soggetti ruspanti e poco raffinati, teniamo un occhio sulla bitcoin che si è ben ripresa quest’anno. Siamo infatti convinti che l’inizio del ribasso dei tassi e del conseguente storico rally dell’equity (value) sarà successivo al crollo finale delle criptocurrency, summa maxima di una fase storica definita dalla globalizzazione selvaggia, stagnazione globale, tripudio di diseguaglianze e nazionalismi, tassi negativi e speculazione.
Globalization by Vsevolod Slavutych
Nicchia “Deglob”
Tante volte abbiamo discusso la deglobalizzazione. Se la globalizzazione è stato il tema degli scorsi 20 anni e averla compresa e seguita nelle scelte di investimento avrebbe aiutato molto, nei prossimi 10 anni la deglobalizzazione, crediamo, avrà ripercussioni ugualmente profonde. Molti saranno i settori interessati che potrebbero completamente rivedere, in positivo o negativo, la loro struttura di business. Creiamo quindi un portafoglio all’interno del fondo Pharus Asia Value Niche includendo società che potranno beneficiare di questi cambiamenti. I settori sono i più diversi, da società legate all’ecosistema dei semiconduttori, agli ingredienti per la farmaceutica, alle costruzioni, alla raffinazione dei metalli, all’acciaio, alle infrastrutture della comunicazione, alle rinnovabili e molte altre. Siemens Energy, di cui abbiamo parlato qui sopra, è chiaramente uno dei beneficiari di questo trend ed uno dei titoli di questo portafoglio (qui un articolo interessante sull’argomento NZIA: act now or Europe’s wind turbines will be made in China | WindEurope).
Come sempre le caratteristiche dovranno essere tre. Oltre al fatto di poter beneficiare della deglobalizzazione, infatti, le società dovranno avere valutazioni “deep value”, in linea con il nostro approccio, e dovranno essere sostenibili nel senso che dovranno posizionarsi su un cammino di graduale miglioramento rispetto ai fattori sociali, ambientali e di governance. Attraverso l’interazione diretta con le società noi siamo impegnati ad assicurarlo e documentarlo. La nuova Nicchia parte con un peso dell’1,5% e ha un peso massimo del 2,5% del NAV del portafoglio. Inizialmente è composta da 15 titoli che gradualmente porteremo a 25.
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